(…)” La fine e l’inizio del millennio hanno bisogno di utopia unita a disincanto. Il destino di ogni uomo, e della Storia stessa, assomiglia a quello di Mosè, che non raggiunse la Terra Promessa, ma non smise di camminare nella sua direzione.
( Foto di Luisella Pisottu)
Utopia significa non arrendersi alle cose così come sono e lottare per le cose così come dovrebbero essere; sapere che il mondo, come dice un verso di Brecht, ha bisogno di essere cambiato e riscattato.(…) Il disincanto è un ossimoro, una contraddizione che l’intelletto non può risolvere e che solo la poesia può esprimere e custodire, perché esso dice che l’incanto non c’è ma suggerisce, nel modo e nel tono in cui lo dice, che esso, nonostante tutto, c’è e può riapparire quando meno lo si attende.
( Foto di Luisella Pisottu)
Utopia significa non arrendersi alle cose così come sono e lottare per le cose così come dovrebbero essere; sapere che il mondo, come dice un verso di Brecht, ha bisogno di essere cambiato e riscattato.(…) Il disincanto è un ossimoro, una contraddizione che l’intelletto non può risolvere e che solo la poesia può esprimere e custodire, perché esso dice che l’incanto non c’è ma suggerisce, nel modo e nel tono in cui lo dice, che esso, nonostante tutto, c’è e può riapparire quando meno lo si attende.
Il disincanto che corregge l’utopia, rafforza il suo elemento fondamentale, la speranza. Che cosa posso sperare?, si chiede Kant nella “Critica della ragion pura”. La speranza non nasce da una visione del mondo rassicurante e ottimista, bensì dalla lacerazione dell’esistenza vissuta e patita senza veli, che crea un’insopprimibile necessità di riscatto. Il male radicale - la radicale insensatezza con cui si presenta il mondo – esige di essere scrutato sino in fondo, per essere affrontato con la speranza di superarlo. Charles Péguy considerava la speranza la virtù più grande, proprio perché l’inclinazione a disperare è così fondata, così forte, ed è così difficile, come egli dice nel “Portico del mistero della seconda virtù”, riconquistare la fantasia dell’infanzia, vedere come tutto avviene e nondimeno credere che domani andrà meglio.
La speranza è una conoscenza completa delle cose, osserva Gerardo Cunico; non solo di come esse appaiono e sono, ma anche di come devono diventare per essere conformi alla loro piena realtà non ancora dispiegata, alla legge del loro essere. Essa s’identifica con lo spirito dell’utopia, come insegna Bloch, e significa che dietro ogni realtà vi sono altre potenzialità, che vanno liberate dalla visione dell’esistente. La speranza si proietta nel futuro per riconciliare l’uomo con la storia ma anche con la natura, ossia con la pienezza delle proprie possibilità e delle proprie pulsioni.
(…) La storia letteraria occidentale degli ultimi due secoli è storia di utopia e disincanto, della loro inscindibile simbiosi. La letteratura si pone spesso nei confronti della storia come l’altra faccia della luna, lasciata in ombra dal corso del mondo. Questo senso di una grande mancanza nella vita e nella storia è l’esigenza di qualcosa di irriducibilmente altro, di un riscatto messianico e rivoluzionario, mancato o negato da ogni rivoluzione storica. L’individuo avverte una profonda ferita, che gli rende difficile realizzare pienamente la sua personalità in accordo con l’evoluzione sociale e gli fa sentire l’assenza della vita vera. Il progresso collettivo mette ancor più in evidenza il disagio del singolo; pretendere di vivere è da megalomani, scrive Ibsen, indicando così, come solo la consapevolezza di quanto sia arduo e temerario aspirare alla vita autentica può permettere di avvicinarsi a essa”.
(Claudio Magris - Utopia e disincanto – Ed. Garzanti 1999)
Luisella Pisottu
Luisella Pisottu
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