22.1.12

Obbedienza

Sul momento non gli detti importanza più di tanto. Noi formiche siamo animali sociali, il dovere prima di tutto, ognuno al suo posto…..e se la cosa era successa una ragione doveva pur esserci. Io sono un guerriero, non sono abituato a discutere e la realtà è decisa da Gerarchie troppo distanti da me e da tutti quelli che ho conosciuto. Si dice che nessuno le conosca, le Gerarchie, neppure la Regina. qualcosa sarebbe accaduto, era sempre andata così, dovevo solo aspettare di capire questo mio nuovo ruolo piovutomi addosso.
Ma
Gli ordini erano sicuramente partiti, la Regina, anche se impegnata tutto il giorno con i problemi della continuità della specie, aveva certo ricevuto le sue istruzioni, io,  fiducioso, aspettavo le mie, tra poco sarebbero arrivate, non avevo dubbi.
Certo che questo grande corpo che improvvisamente mi ritrovavo, così, dalla sera alla mattina, disteso immobile, davanti al formicaio, aveva tutta l’apparenza di una grana non da poco. I movimenti non riuscivo a controllarli, come se fossi impedito, immobilizzato da mille piccole forze che non sapevo coordinare. Eppure tutti quei muscoli dovevano conferirmi un vigore consistente. Le operaie, mi percorrevano indifferenti, come se niente fosse accaduto, intente ai loro compiti quotidiani, allineate con ordine nelle loro solite doppie file. Noi formiche non siamo animali curiosi.
Si vociferava di un fatto simile, accaduto tanti anni fa, in un’isola lontana, un certo Gulliver…ma credevo si trattasse di favole, quelle che le operaie raccontano alle larve per tenere a freno la loro impazienza di crescere.
I miei fratelli guerrieri si erano infine fatti vivi, ma da loro solo silenzio. Giravano intorno a quella montagnola di carne che si ergeva tra i miei due occhi, suppongo avesse delle caverne sul lato che non potevo vedere perché sentivo distintamente, dentro di me, il prurito fastidioso dei loro passetti. Li vedevo confabulare tra loro. Provai a parlare anch’io ma il suono inarticolato e terribile che emisi ebbe la forza del tuono, percosse l’aria intorno scaraventando a terra, nel panico, i fratelli che mi esploravano. Meglio non riprovare.
Per giorni continuò quest’esplorazione, mi percorsero tutto, visitarono ogni anfratto. Sentivo le loro flebili voci, troppo flebili perché riuscissi a distinguere alcunché.
Negli sguardi dei fratelli non colsi mai indizi di affetto, di comprensione, forse pietà, quella sì, ma una pietà ingombrante alle loro piccole esistenze, una pietà ambigua che non riuscivo a capire a pieno. Che strani pensieri nella mia mente! E queste nuove parole: affetto, pietà! Noi formiche non conosciamo le lacrime, le nostre migliaia di occhi non ce le consentirebbero, e una cosa che chiamiamo dolore la proviamo solo quando ci sembra che la Regina sia in pericolo. Dicono che così sia stato stabilito dalle Gerarchie. Eppure percepivo nei fratelli un qualche riguardo. Mi nutrivano. Venivano le operaie e ammucchiavano vicino alla mia bocca quantità esorbitanti di pezzetti di foglie, semi, residui di funghi, di vermi e sterco: il nostro cibo abituale, che adesso mi appariva stomachevole, nauseabondo. Siamo animali onnivori, noi formiche, all’occasione non disdegnamo qualche buon boccone di carne fresca.
Ma cos’era quella singolare pietà dei fratelli?  I loro occhi non mi guardavano più, mi studiavano, lo fecero per giorni e giorni. Sentivo che s’interrogavano imbarazzati e sprovveduti. Ma perché le Gerarchie tardavano a mandare istruzioni? Perché tutto questo tempo?
Poi le istruzioni arrivarono, ne ebbi la certezza quando mi accorsi che non mi studiavano più.
Allora capii quella strana forma di pietà, era la pietà del carnefice per la vittima. 

2 commenti:

  1. Appropriata e molto bella l'immagine che è stata inserita in testa al racconto. Di chi è stata l'idea? Grazie

    Riccardo

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  2. Complimenti! Ottima idea quella della formica gigante in un formicaio di minuscole formichine. Il racconto colpisce nel segno, soprattutto l'emarginazione seguita all'iniziale curiosità, è molto toccante.

    Laura Niolu

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