28.3.11

Pietà, poesia, persone

                                              Una pagina di Czeslaw Milosz
In questo post d’esordio vi propongo la lettura di una pagina del poeta polacco Czeslaw Milosz, Nobel per la Letteratura nel 1980. E’ tratta dalle sue meditazioni ed è una pagina folgorante.

Nella nona decade della mia vita, il sentimento che cresce in me e tutto mi pervade è la pietà, una pietà condannata a rimanere sterile. Una miriade, un numero davvero sterminato di volti, figure, singoli destini, e una sorta di immedesimazione con essi dall’interno; e insieme la consapevolezza che non troverò più il modo di donare a questi miei ospiti una casa nei miei versi, perché è tardi ormai.

Penso anche che, se potessi ricominciare da capo, ogni mia poesia sarebbe il profilo o il ritratto di una persona concreta, o più precisamente, un lamento sopra il suo destino
. (*)

Quando Milosz scriveva queste righe aveva ottantasei anni, ed era appunto nella nona decade della sua vita (era nato in Lituania, a Szetejnie, il 30 giugno 1911, morirà a Cracovia, novantatreenne, il 14 agosto 2004); vi sono racchiuse due lezioni, una umana ed una poetica, strettamente legate tra loro: l’accettazione di una pietas pervasiva dinanzi alla quale si è sempre inadeguati, incapaci di comportamenti consequenziali, e la constatazione della centralità dell’altro, persone concrete alle quali si dovrebbe dedicare addirittura, interamente, la propria arte. La poesia dunque come luogo e forma dell’incontro, testimonianza estrema di esistenza, ennesima prova del suo confondersi con la vita, del suo dover essere vita.

Antonio Fiori

(*) Il cagnolino lungo la strada, Adelphi, 2002, p.178, traduzione di Andrea Ceccherelli
     (la prima edizione, in polacco, è del 1997)

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