10.10.11

Eludere la sorveglianza

Era notte e il camion dei rifiuti sostava sotto la palazzina grigia di Via dei Baiocchi.
 Con il solito fare gli addetti alla raccolta compivano il loro lavoro. Ma qualcosa di insolito catturò la loro attenzione. Un paio di scarpe griffate giacevano senza stringhe nel cassonetto della plastica. Non erano danneggiate, anzi sembrava che qualcuno le avesse posate lì per sbaglio, mentre differenziava i rifiuti.
“Che dici, Walter, le portiamo via?” Disse Simone.
“Non so, potresti regalarle a tuo nipote, è sempre così attento all'abbigliamento... ma se poi hanno un proprietario?”
“Non credo che possa tornare a frugare nel cassonetto uno che può permettersi simili scarpe” disse Simone, per convincere se stesso prima che Walter.
“Ma, sì, dai, prendile! Non credo che appartengano al più povero dei barboni! Certo però che almeno i lacci avrebbero potuto lasciarli, che se ne faranno? Gettano le scarpe e tengono i lacci, cose da pazzi!”
“Ah, ah, ah! Sogghignò Walter poggiando le scarpe sul sedile ruvido del camion, che di lì a poco sarebbe ripartito. Infatti, le soste in via Baiocchi erano terminate e anche il loro giro stava per finire, alle 5.30 avrebbero smontato il turno.


Era il mese di novembre, ormai il tempo volgeva all'inverno, la gente iniziava a indossare maglioncini di lana e a imbracciare gli ombrelli. L'aria era uggiosa. Il cielo era scuro. Bianca, batteva le ultime pagine della sua tesi di laurea sulla capacità dei ratti, similmente agli esseri umani, di contrarre dipendenze da alcol e droghe. Aveva dedicato un tale impegno agli esperimenti in laboratorio e alle ricerche bibliografiche che la stesura della tesi le era sembrata una passeggiata. Il sogno della sua vita, diventare una ricercatrice veterinaria, stava per realizzarsi. Certo avrebbe preferito laurearsi nei tempi del corso ma a causa di alcuni problemi sentimentali aveva saltato qualche sessione d'esame.  Guido! Era questo il nome del suo ragazzo. E che nome, diceva tutto e il contrario di tutto. Guido era nato insicuro e questo l'aveva reso, per usare un aggettivo che spesso gli era stato attribuito, strano o per meglio dire insolito. A dire il vero aveva fatto poco per cercare di scrollarsi di dosso la brutta etichetta che gli altri gli avevano cucito. Ma Bianca era andata oltre l'apparenza, ne aveva assaporato la sostanza, anche se talvolta questo le era costato caro. Guido spesso l'aveva messa in difficoltà, le aveva fatto affrontare problemi pesanti, le aveva tolto la serenità che ogni ventenne deve portarsi dentro per affrontare i begli anni dell'università, con tutti gli entusiasmi e le delusioni di un'età irripetibile. Ma ora Bianca andava dritta verso il traguardo, nessuno avrebbe potuto fermare la sua corsa, stavolta neppure Guido! Guido che proprio in quei giorni stava per cadere in trappola. Infatti, mentre Bianca gioiva per il titolo conseguito alla Facoltà di Medicina veterinaria, con votazione di 110/110 e lode, qualcosa stava per far perdere la libertà a Guido.
In piazza “Gran Sigillo” alle 3.00 della notte di Natale una ragazza albanese, con voce agitata, aveva chiamato il 113 dicendo di essere stata aggredita e derubata da un giovane italiano. All'arrivo degli agenti la giovane aveva fornito importanti particolari per la ricostruzione dell'identikit del suo assalitore. Di lì a breve gli agenti si sarebbero messi sulle sue tracce.

Guido, nel vicolo di via Grammi ansimava, cercava di prendere fiato, non riusciva a respirare, le mani e le gambe gli tremavano, la bocca gli si era prosciugata, la lingua sembrava un pezzo di cartone tra i denti, il cuore gli batteva come un tamburo. Cosa stava accadendo? Guido non riusciva a darsi una spiegazione, non  riconosceva più se stesso. Quando si fu tranquillizzato tirò fuori dalla tasca i soldi necessari per comprare un pacchetto di Malboro e bere in solitudine qualche birra al bar del quartiere “Genziana”, che stava aperto anche nei giorni festivi e che aveva abbassato la serranda solo una volta in ventinove anni, per lutto.
Il mattino seguente, come era consuetudine ormai da cinque anni, Guido suonò il campanello di casa Briganti. Dall'interno si sentì stridula una voce di donna, doveva essere la nonna di Bianca.
“Vado io, dev'essere Ersilia!”
“Buon Natale, signora Gina! Ecco, questo dolce è per voi!” Disse Guido in modo impacciato.
“Buon Natale caro! Scusami, credevo fosse mia sorella. Accomodati! Bianca sarà qui tra pochi minuti, sta finendo di preparare lo sfornato”.
“Certo! Aspetterò. Nel frattempo saluterò gli altri”. Disse Guido un po' spaesato. Gli si leggeva in viso che quella notte l'aveva passata insonne.
Con un sorriso che le illuminava tutto il volto arrivò Bianca che gli corse subito incontro, gli posò un soffice bacio sulle labbra e gli disse:
“Buon Natale, amore!”
“Buon Natale!” Rispose Guido con tono triste.
“Che c'è, non ti senti bene? Sembra che ti sia crollato il mondo addosso!”
“Non è niente, non preoccuparti, passerà!”
“Sarà, ma ho come l'impressione che ti sia accaduto qualcosa di cui non mi vuoi parlare”. Disse Bianca con sospetto.
Quel giorno di festa trascorse senza troppi entusiasmi da parte di Guido, che custodiva il suo segreto come il più terribile dei crimini e che credeva opportuno non rivelare a nessuno.

Episodi come quello della notte di Natale continuarono a ripetersi con cadenza settimanale. Guido non aveva più il controllo della situazione, non si fidava più di se stesso. Il mostro si impossessava di lui fino a lasciarlo quasi esanime. Erano trascorsi già diversi mesi dalla prima inquietante notte e altre notti e altri giorni si erano avvicendati nello stesso terribile modo. Guido arrivò persino a lasciare Bianca senza una valida spiegazione, solo per paura di farle del male. Era esausto, aveva bisogno di fermare il mostro, aveva bisogno di confessare a qualcuno il suo segreto. Ma a chi? Si ricordò di Renzo, uno psicoterapeuta che aveva conosciuto per caso, durante una partita di calcetto, e decise che una chiacchierata con lui avrebbe potuto essergli d'aiuto.
“Ma forse é troppo tardi! Ormai non c'è rimedio! Sono affetto da un morbo incurabile.” Si ripeteva in continuazione nella mente.
In qualche modo doveva liberarsi. Ma come?
“Dentro questa stanza semibuia, senza i lacci alle scarpe, senza nessuna visita, con il conforto della solitudine magari il mostro morirà!” Questo pensava Guido.
Trascorsero tre mesi nei quali Guido cercò di controllare il mostro, finché un giorno dopo tanto pensare ebbe il coraggio di  telefonare a Renzo. Tra due giorni sarebbe uscito.
Appena giunto davanti ai cassonetti dei rifiuti ripose le scarpe senza stringhe in quello della plastica, la sua prigionia era finita! Subito dopo, per prendere contatto con la realtà, acquistò il quotidiano locale. La prima pagina titolava “Albanese ritratta”. L'articolo riportava la notizia che quanto avvenuto a piazza “Gran Sigillo” era stato frutto della fantasia disperata della giovane donna che, non avendo né denaro né un luogo in cui rifugiarsi, aveva inventato tutto per ovviare ai suoi problemi. Nessun colpevole, dunque, doveva essere assicurato alla giustizia. Nessun  a galera avrebbe spalancato la sua cella all'aggressore.
Guido sapeva bene cosa significava vivere da carcerato, sotto sorveglianza.  Si era incarcerato all'interno del suo monolocale al primo piano di via Baiocchi, per proteggersi dai pericoli del mondo esterno ma in realtà l'avvertimento smodato del pericolo lo generava il suo mondo interiore che avvertiva il pericolo del pericolo. Uscire da quel carcere virtuale nel quale si era ingabbiato era come essere dato alla luce una seconda volta. Ora era determinato ad affrontare il suo mostro interiore, la sua ansia come l'aveva battezzata Renzo. Guido non sarebbe mai riuscito a soffocare quella parte di sé, avrebbe dovuto conviverci e parlarci, prendere per mano quel bambino timoroso che si portava dentro e allevarlo. Il suo compito sarebbe stato da quel momento considerarlo, domandargli cosa si aspettava dalla vita e aiutarlo a crescere, affrontando anche i no e le delusioni, così come le gioie e i successi. Del resto non avrebbe potuto piovere in eterno, il sole prima o poi avrebbe fatto capolino! Guido, per le sue vicende  famigliari, era cresciuto in fretta, senza troppe pretese, in un mondo emotivo molto controllato, dove ogni gesto era dovuto e dove tutto doveva essere perfetto. La morsa del controllo l'aveva attanagliato fin da bambino, nei suoi ricordi il mostro era comparso all'età di quattro anni, ma poi l'aveva liberato per tornare da adulto in modo più deciso e con delle catene più forti.    
Sì, era proprio giunto il momento di affrontare con coraggio il suo mostro interiore, quell'eccessivo controllo che gli creava attimi di smarrimento, l'agorafobia e la paura che gli potesse accadere qualcosa di male da un momento all'altro. Grazie alle sedute con il dottor Renzo Coda e alla terapia comportamentale, Guido, a piccoli passi, iniziò a percorrere la strada della libertà indossando finalmente scarpe con i lacci. Renzo lo aiutò a ritrovare se stesso. A piccole dosi eluse il controllo e si vaccinò alla vita. Il vaccino di Renzo non immunizza dalle emozioni ma aiuta a percepirle senza averne timore.
Adesso anche il rapporto di Guido con le donne è diverso, è più sicuro di sé, ha imparato ad amarsi per amare ed essere amato.
Ora la vita di Guido non è perfetta ma è libera dai lacci di un crudele carceriere, ovvero la percezione distorta di sé.    

Romina Santu



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