10.10.11

Un dialogo ininterrotto


«  Sì lo so, lo so. Non è ciò che volevi, ma celebreremo questo venticinquesimo anniversario.
 Qui nella nostra casa. Io e te da soli. Avresti dovuto saperlo che un matrimonio, così come è la causa primaria del divorzio, porta con sé di conseguenza anniversari e celebrazioni! ».
Rise la vecchia signora e seguì  con affetto le onde sonore del riso che le giunse in risposta da lontano. Si muoveva sollecita e precisa nella sala da pranzo con la consuetudine di lunghi anni che accompagnava ad una vivacità febbrile perché gli avvenimenti del giorno consueti non erano e richiedevano maggior cura dei particolari.
« Venticinque anni. Venticinque anni sono trascorsi da quel giorno ventoso davanti al piccolo municipio in stile vagamente coloniale che si affaccia sul mare! Fu la tua fonte di ispirazione quel piccolo municipio nella piccola cittadina. Ricordi? Io lo ricordo benissimo. Camminavamo sul lungomare, quasi alla fine della nostra breve e tranquilla vacanza, quando vedemmo uscire dal municipio due giovani sposi, gli abiti e i capelli presi dal vento come il grano augurale …».
Aveva intanto sistemato i vasi, che dal terrazzo aveva portato verso l’interno, sulle mensole e sulle alzatine interne e ora  le mani si muovevano rapide e agili dal cassetto alla tavola e dispiegavano la tovaglia con gli intarsi dello sfilato siciliano che era stata di sua madre ed era entrata, con il servizio buono di porcellana, a far parte del suo corredo. Dispiegava la tovaglia e ne accarezzava il tessuto mentre seguiva le sinuosità del ricamo e dei pensieri.

«  Che ti sarà venuto in mente, dopo tanti anni di convivenza, di farmi lì in quel momento, la tua proposta di matrimonio? Mi lasciasti sorpresa tanto sembrava incongrua, estranea a noi e alla nostra vita, quella proposta!  Stranamente mi venne in mente una poesia di Sinisgalli che dice dei cedimenti dei vecchi che piangono per una lumachina! Compresi che i tempi della nostra scapigliatura, ben diversa dalla scapigliatura dei novelli sposi davanti al municipio, erano finiti ».
Prese a disporre il servizio di porcellana dai piccoli fiori azzurri di nontiscordardime che ai tempi della scapigliatura detestava con animosità vigorosa e che ora guardava come testimoni muti di un’epoca trascorsa.
« Sorridi, sorridi pure. Ma sarai d’accordo con me che col matrimonio si chiuse un periodo della nostra vita che, non più giovani, identificavamo con la giovinezza. No, no. Non farmi dire ciò che non voglio. Sono stata bene sempre, felice del nostro accordo, della complicità che sempre ha sostenuto il nostro dialogo. Il matrimonio ha portato una tranquillità, una serenità matura. Non so bene come spiegarlo, anche perché io stessa non ho ben definito nel tempo questo mutamento. Penso che ogni periodo si definisca da sé quando avvertiamo che si è chiuso. Sei d’accordo ? ».
Si era alzata presto al mattino e da presto aveva iniziato a muoversi in cucina tra ricette e tegami dimenticati perché non era mai stata particolarmente esigente a tavola e col passare degli anni la poca attitudine ai fornelli si era consolidata in abitudini salutistiche e frugali. Ma quello doveva essere un giorno diverso e allora via con entusiasmo, fino a che non era arrivato il momento di sistemare la sala da pranzo e di apparecchiare. Portò a tavola le pietanze e le sistemò in modo che non ci si dovesse alzare per le portate.
« Una concessione che possiamo fare per evitare l’andare e il venire dalla cucina, seppure con il carrello. Bene, il tempo si è messo al bello dopo quella sfuriata di ieri: quanta acqua e quanto vento! ».
E mentre si disponeva a mangiare guardava oltre le tende socchiuse il viale alberato di bagolaro dalle foglie primaverili abitate da innumerevoli nidi incredibilmente chiassosi, ora che la sera avanzava nel rosa. La cena andò avanti così: uno sguardo al panorama, un apprezzamento per il cibo, qualche disapprovazione per il clamore intenso del traffico della città che lasciava al loro abbandono notturno uffici e negozi.
« Quante città abbiamo visitato e quanti posti che, nella loro solitudine geografica, non sembravano promettere niente di buono! Ecco, il desiderio di viaggiare ci ha accompagnato nei nostri diversi periodi, il fil rouge della nostra vita, il filo rosso della giovinezza anche nell’età matura. Tirerò fuori il vecchio proiettore e i nostri filmini. Che ne dici? Sì, funziona, ho controllato qualche giorno fa ».
La sera intrecciava ricordi e colori, le frange di rosa lasciarono il posto all’arancio dei fanali lungo il viale. Allora si alzò, terminata la cena con qualche apprezzamento e un brindisi, e liberò con calma il robusto tavolo di legno color mogano, rimise al loro posto gli oggetti che aveva spostato su una mensola, diede uno sguardo affettuoso alla credenza su cui stavano allineate alcune foto, poche perché non amava l’esposizione di immagini che in alcune case ricordava un altarino, quasi l’altarino pagano ai Mani e ai Lari, il culto degli antenati e dei santi insieme. Quindi predispose il proiettore e un gran numero di scatole colorate contenenti i filmini. Mise un cd di musica classica, spense la luce e le immagini iniziarono a fiorire sulla parete bianca. Il silenzio delle voci  era sottolineato dalla musica e ad un tratto, chissà dopo quanto tempo, lo squillo del campanello.
Dopo qualche istante di esitazione, lentamente si alzò, guardò attraverso lo spioncino e lentamente tornò indietro. Riprese posto sulla poltrona.
« Tu guarda, i vicini! Non ti vedono, non ti salutano se ti incontrano sulle scale, ti guardano con diffidenza se manifesti una qualche gentilezza e proprio oggi, proprio ora suonano, che vogliono? Non aprirò! Qualunque cosa vogliano non aprirò! ».
Le immagini continuarono a lungo a scorrere sulla parete bianca e la musica fluiva intensa e vibrante, più volte la signora si mosse per dare continuità alle une e all’altra. Improvvisamente venne scossa ancora una volta dal suono perentorio e insistente del campanello. Prese un po’ di tempo a rientrare nella realtà, si accorse di aver dormito dall’assenza delle immagini sulla parete e dal rumore sordo del proiettore che aveva finito il nastro. Il campanello aveva ripreso a suonare con sempre più vigorosa invadenza. Ancora una volta si alzò, ora veramente sconcertata da tanta insistenza.
« Aprite, polizia! ».
« Polizia! Polizia? », ripeteva tra sé mentre liberava la serratura. Aprì e si fece da parte per lasciar entrare i due agenti.
« Signora, spenga la musica! Sa che ore sono? I suoi vicini si sono lamentati prima per tanto rumore e poi hanno chiesto il nostro intervento perché preoccupati del fatto che nessuno rispondesse ! ». Si accorse allora che nel silenzio della notte la musica fluiva nelle stanze e si dispiegava, attraverso l’uscio, nel pianerottolo sui volti irati,  assonnati,  preoccupati e infastiditi dei  suoi vicini.
Stordita dalla straordinaria visita rispose come parlando a sé stessa:
«  Festeggiamo il nostro venticinquesimo anniversario! », e subito si pentì d’aver parlato.
« Festeggiamo? », dissero all’unisono gli agenti guardandosi intorno nel piccolo soggiorno dove niente, non la luce fioca non la poltrona non le foto sulla mensola dalle quali sorrideva un volto d’uomo forte e attraente, indicava la presenza di altri oltre quella della signora ancora ferma sulla soglia.

Rita DiMattia

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