3.12.11

Verrà la morte...


Illustrazione di Paola Pompili

Constance apre gli occhi allo sbattere della porta e subito li richiude rassegnata.
– Solo un altro che fugge – Il suo letto non è riuscito a trattenere neanche lui oltre le prime luci dell’alba.
Anche lei è fuggita; da braccia strette come catene, da corde di lenzuola che hanno lasciato solchi sulla sua pelle.
Lei fuggì un pomeriggio progettato in giorni d’asfissia. Nella valigia impolverata da mesi di inutilizzo, sistemò le sue vestaglie di seta, gli abiti perfetti per il sogno che avrebbe realizzato altrove, non in quella cittadina di provincia, non nell’ora d’aria che Cesare le concedeva, tra un abbraccio e l’altro.
Solo due righe su un foglio troppo grande che lasciò sul tavolo all’ingresso, all’ombra delle rose che lui le aveva regalato la sera prima.
Uscì senza voltarsi, inconsapevole, non potendo immaginare che in seguito, in quella stanza, ci sarebbe ritornata ogni notte, con il carico del rimorso molto più pesante di quella valigia.
Si erano conosciuti ad una festa, tra attrici e intellettuali amalgamati da una sera d’estate, lui era tra gli antipasti, su un tavolo che chiamava la fame di Constance. Lei era un pianeta azzurro nel cielo di stelline che popolavano la stanza. Cesare non smise mai di domandarsi com’è che entrò nella sua orbita. Le servì vino e se stesso, nello stesso calice. La rapì ad un altro desiderio e senza sapere mai con quale mezzo la persuase a seguirlo.

Per qualche tempo volarono insieme; lei mise a riposare i suoi progetti, lui coltivò il sogno di quell’amore, di quella terra sconosciuta e ardente che chiedeva acqua. Lei era la più bella delle sue poesie, il romanzo mai scritto che abitava le sue dita, la sua luna e il suo falò, nella spiaggia dei suoi sogni.
Ma Constance conservava intatto il desiderio di raggiungere la fama che la sua bellezza e il suo talento meritavano. Fu felice di comunicargli che le avevano proposto una parte importante a Hollywood.
-Non vedi che approfittano di te? Vogliono solo rubarti l’anima.
Lui no, non voleva rubarle l’anima, solo perché non ci arrivava alla sua anima, altrimenti avrebbe preso anche quella, pensava Constance.
Erano solo un sogno di cristallo, troppo fragile per resistere al vento delle aspettative di Constance. Si ruppe senza che Cesare ne sentisse il rumore. Si ferì con i cocci taglienti di quel biglietto che aveva trovato sul tavolo.
- Devo andare - Diceva Constance - Mi spiace, abbi cura di te -
Odiò se stesso per non essere riuscito a fermarla, per non aver previsto quel momento. 
La cercò tra le lenzuola, respirò per giorni il suo profumo sino a consumarlo. 
Quando non restò di lei che un relitto sul fondo della sua anima tornò al suo antico amore: il tormento. 
Forse cominciò a scrivere per raggiungerlo, per percorrere la distanza che li separava. Lui era lì, sempre più vicino, corpo da colpire, da punire. Non era amore ciò che descrisse, non era speranza, nominata invano. 
Si arrese senza più combattere, con l’arma della sua arte ancora stretta in pugno.
Ora Constance non riesce a fuggire da quella porta, aperta per ricevere amore da aridi sconosciuti che pur superando la soglia del suo consenso non trovano riparo nella sua pelle calpestata dal passato, né rifugio in quegli occhi in cui si riflette la morte del futuro. Legge e si rispecchia in quelle parole liquide che hanno corroso la sua vita.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi/questa morte che ci accompagna/
dal mattino alla sera/insonne/sorda/ come un vecchio rimorso/o un vizio assurdo.
I tuoi occhi saranno una vana parola/un grido taciuto/un silenzio….

3 commenti:

  1. ..ispirato alla storia d'amore tra Cesare Pavese e Constance Dowling, attrice di Hollywood a cui dedicò i versi di ' Verrà la morte e avrà i tuoi occhi'. La delusione per la fine del rapporto e il disagio esistenziale lo indussero al suicidio il 27 agosto del 1950.
    Lella

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  2. Ogni parola è densa di significati profondi, ogni frase è il racconto di emozioni che tolgono il respiro. Complimenti Lella. L'illustrazione è bellissima e gli occhi chiusi li vedo aperti al mistero dei sentimenti.
    Luisella Sa

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  3. Scusa l’intromissione. Son capitato qui per puro caso. Leggevo dell’altro ma son cascato sul tuo titolo “Verrà la morte....” ed il mio pensiero è andato dritto dritto a Cesare Pavese, come tu stessa confermi nel commento. A questo punto non ho resistito alla tentazione d’intervenire. L’occasione era troppo ghiotta... non potevo più esimermi dal dare il mio contributo alla causa. Devo dire che mai, in passato, mi era capitato di leggere o di ascoltare qualcuno che prendesse le difese di Constance Dowling, a seguito della tragica morte di Cesare Pavese. Certo nessuno le ha mai attribuito colpe che ovviamente non ha, quantunque si tenda generalmente a celebrare la figura dello scrittore pluripremiato e soprattutto a venerare la stupenda poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Ma a questo punto il gioco è fatto: all’ignaro lettore non resta altro che attribuire alla povera Costance la causa del suicidio dello scrittore.Pavese scelse di liberarsi dal fardello della vita, ma così facendo ha pure buttato la croce addosso sulla coscienza della povera Costance sino a rovinarle l’esistenza. Dunque, secondo me Pavese ha pianificato una tremenda vendetta, ed io aggiungo che si è trattato di una vera vigliaccata. Di lei, piuttosto, nessuno si cura. Nessuno che abbia mai scavato abbastanza a fondo i tormenti della bella e brava attrice, tranne la tua significativa metafora: “Nella valigia impolverata da mesi di inutilizzo, sistemò le sue vestaglie di seta, gli abiti perfetti per il sogno che avrebbe realizzato altrove, non in quella cittadina di provincia, non nell’ora d’aria che Cesare le concedeva, tra un abbraccio e l’altro.” Ecco il motivo per cui lei fugge via, brillantemente spiegato come solo una donna sa fare: Costance era come “la valigia”, palesemente inutilizzata. Al contrario vedo che in tanti si affannano nell’elogiare il seppur splendido, immenso, Pavese, pure da me ammirato per le sue opere di alta qualità letteraria. Infatti, i vari critici si soffermano assai nel rievocare banalissime verità celate agli occhi di chi non vuol vedere; verità peraltro prudentemente evidenziate dallo stesso Pavese nel suo diario pubblicato postumo col titolo “Il mestiere di vivere”. E’ su quel diario che bisognerebbe effettuare un grosso scavo psicologico: il suo disprezzo per le donne, il suo carattere introverso, teso alla ricerca costante dell’alienazione dal resto dell’umanità, rasentando un comportamento ai limiti della maleducazione. Mentre invece sono molto pochi coloro che hanno introdotto il dubbio sul perché mai una donna fugge da un brillante intellettuale. A me sembra abbastanza chiaro: poiché, come scrivi tu, tutti volevano rubarle l’anima senza dover pagare pegno, compreso Elia Cazan.
    Piuttosto e per onestà intellettuale, aggiungo io: quanti sono quelli che addossano a Pavese la morte di Constance? A me risulta che lei sia morta a causa di una super dose di barbiturici, ingurgitati per riuscire a superare una delle tante notti insonni, dovute probabilmente al rimorso per la tragica scomparsa del suo ex amante. “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Gli stessi occhi che tormentarono Costance sino al tracollo finale. Costance non meritava quella fine. Lei, dal momento dell’addio in poi, si era trincerata in un riservato silenzio. Non poteva e non doveva essere lei a svelare la probabile, eventuale, omosessualità di Pavese. Ciò era un’incombenza che, eventualmente, doveva ricadere interamente sull’interessato. Se fosse stata proprio lei a svelare la misoginia di Pavese, magari per proteggersi dai falsi moralisti, allora sì che sarebbe stata una vera vigliaccata. Tu, Lella, hai il merito di aver iniziato, seppur in forma romanzata, a risuscitare una verità nascosta da troppo tempo. Sarebbe ora che qualcuno pensasse a riabilitare la figura della povera Constance Dowling. Io vorrei farlo parafrasando Pourcel ne “Il lamento di Didone: “Ricordati di me ma, ah! Dimentica il mio destino.” A te i miei più sinceri complimenti, anche per la perspicace difesa delle donne senza peraltro cascare nel falso vittimismo.
    a.c.

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