27.8.12

LA CURA

Il giudice Aldo Corsini  se ne stava in piedi nel soggiorno della casa  di campagna guardando con ostinazione la parete di fronte a sé,
mentre Elena, la sua giovane amante, seduta a tavola piangeva sommessa da qualche minuto, forse sperando ancora  di riuscire a commuoverlo.
I fumi dell’ira appena sfogata nell’ennesimo litigio rimanevano sospesi nell’aria e gravavano su di loro in una pesante cappa che li costringeva a fronteggiarsi  come due nemici che non ne vogliono sapere di iniziare le trattative.
La casa,  solitaria e isolata  al centro di una  vasta proprietà, era immersa nel silenzio della sera.  L’aria  ferma, come in attesa, sembrava mantenere sospese le parole rabbiose che si erano rivolti poco prima.
Aldo sembrava concentrato sui quadri, vecchie riproduzioni di dipinti famosi che mostravano  nebbiose marine o grigi pontili  che si spingevano in acque quiete illuminate dalla luce dell’alba; cercava di non pensare, Aldo,  e ci riusciva con facilità, come quando, in udienza, manteneva il distacco necessario per poter giudicare. Elena aveva gli occhi pieni di lacrime grosse come quelle di un bambino che ogni tanto le rotolavano giù per il viso: con le mani le scacciava come fossero fastidiosi  insetti, non senza aggiungere  enfasi al gesto , secondo Aldo. Elena avrebbe parlato, ne era certo, non sarebbe riuscita a tacere. Prese un bel respiro e continuò a riflettere. La vedeva soffrire e lui capiva bene quel pianto, ma non poteva farci niente, le cose erano andate com’erano andate e non si poteva rimediare, bisognava solo aver pazienza e lasciar scorre il tempo ma Elena non sembrava più capace di farlo.
Anche la litigata di quella sera  sembrava confermarlo. Elena non sarebbe riuscita a tacere, prima o poi avrebbe raccontato tutto a qualcuno e quel momento si avvicinava sempre di più, con le conseguenze purtroppo immaginabili che questo avrebbe comportato. La sua doppia vita sarebbe venuta allo scoperto. Sposato, padre di famiglia gran lavoratore da un lato, amante di una giovane donna che poteva quasi essere sua figlia,dall’altro. E poi, e poi  il delitto. Già, di questo si trattava, lui, un giudice, aveva commesso un delitto, Elena ne era stata  testimone e, date le circostanze, non poteva esserne del tutto sicura  ma sarebbe bastato che esprimesse i suoi dubbi a qualcuno per far nascere lo scandalo e dallo scandalo chissà  quali altre conseguenze.  No, non poteva accettarlo. Il solo pensiero gli  accentuò il dolore al petto e alla spalla. Non era il cuore, lo sapeva, ma diventava sempre più difficile convivere con quella fastidiosa malattia reumatica che lo stress rendeva più acuta. Dove aveva le pastiglie? Ah, sì in tasca, eccole. Con gesto automatico ne prese una mandandola giù senz’acqua  e prima ancora che il farmaco avesse raggiunto  lo stomaco gli parve di sentirsi meglio. Quella cura … era proprio azzeccata. La medicina aveva un nome  innocente come quello di una caramella ma  funzionava, soprattutto funzionava. Non avrebbe dovuto prenderla così, al bisogno, lo sapeva, in questo modo rischiava di superare le dosi prescritte, ma aveva notato che qualche pasticca in più migliorava di molto il suo benessere, portandolo a vivere una sorta di privata complicità con quella sorprendente sostanza.
-         Ecco, di nuovo questa pastiglia! E’ da quando fai questa cura che sei cambiato, non sei più lo stesso!-
La voce di Ellena si era levata  alta ed esasperata. Fece uno sforzo per non rispondere.
-         Non so se sia la cura  o se sia la malattia, - proseguiva intanto lei - ma sei così diverso, così mostruosamente diverso dall’uomo che conoscevo e dal quale volevo … volevo un figlio – nel dire queste parole il pianto  si dilatò  in modo teatrale,  mentre la ragazza si prendeva la testa fra le mani. Aldo non riuscì a tacere:
-         Dì piuttosto che volevi un figlio per tenermi legato a te, per costringermi a lasciare la mia famiglia, per forzarmi a prendere una decisione che non sentivo di prendere. – Parlava con voce tonante, ora, la sua voce di giudice che pretende ascolto e attenzione prima della decisione  finale - Hai calcolato tutto, proprio tutto  ma  non hai tenuto conto dell’imprevisto … -
-         Imprevisto? Lo chiami imprevisto? Oh mio Dio, arrivi a chiamare imprevisto la morte  del nostro bambino? Tu, tu, tu che quella morte … quella morte, quella morte in qualche modo l’hai provocata, tu che in qualche modo ne sei responsabile,  è vero o no? –
Era vero, certo che era vero, ma Aldo non l’avrebbe mai confermato, men che meno in quel momento,  con Elena così sconvolta  da poter correre via e raccontare al mondo intero la sua versione dei fatti. Una versione che poi, in effetti, corrispondeva alla realtà. Lui stesso si stupiva della semplicità con cui era avvenuta la cosa. Era una sera come quella, erano in quella stessa casa che era sempre stata il  rifugio perfetto per la loro storia. Il bambino piangeva e urlava nella culla, lo faceva spesso, non era un bambino tranquillo, si lamentava in un modo esasperante ed estenuante come solo i bambini così piccoli riescono a fare. Le urla continuavano, continuavano, gli perforavano il cranio come un trapano, avrebbe dato qualunque cosa per farlo tacere. Poi si era avvicinato alla culla ed  era bastato voltare il piccolo di sotto in su, tenerlo sdraiato sulla pancia,  tenerlo bene, e schiacciare un po’ sulla schiena, appena un poco, il tanto necessario a soffocare le grida contro il cuscinetto.  Le grida  erano state soffocate. Ma anche il bambino. Già anche il bambino, in … quanto tempo? Pochi secondi? Qualche minuto? Questo non poteva dirlo.  Si era reso conto di ciò che  era avvenuto quando Elena colpita dall’improvviso silenzio era accorsa dalla cucina  facendogli i complimenti per essere riuscito a calmare il bambino,avvicinatasi alla culla  aveva visto la scena, la posizione innaturale del piccolo, la mano di Aldo sulla schiena  ancora ferma lì a schiacciare …
-         Ma cosa fai? Cosa stai facendo? Cosa succede? Oh Dio, cos’è successo?Cos’hai fatto? Aldo cos’hai fatto? 
-         Non so dirti, l’ho solo girato un po’ sulla pancia … sembrava si stesse calmando e poi invece ha smesso di colpo, ha smesso di piangere ma anche di … di respirare, mi pare … -
Erano stati momenti  terribili da superare. Per Elena.  Aldo non faceva fatica a riconoscerlo:  per lei era stato l’acuto inferno del  lutto e insieme  la fine  dei progetti sul loro futuro. Ma   soprattutto, era rimasto  il dubbio, quel dubbio che pochi istanti prima Elena  aveva espresso in modo esplicito.
Lei  poteva ancora avere dei dubbi. Aldo no. Lui sapeva benissimo che quel gesto, nato per caso, davvero solo alla ricerca di un attimo di quiete per sé e per il bambino, si era trasformato in un atto deliberato e misterioso nel quale uno strano senso di onnipotenza lo aveva indotto ad agire, a fare forza, più forza di quanto sarebbe stato necessario, più forza di quanto sarebbe stato prudente. Una forza che gli aveva dato una sorprendente sensazione di vita, come se avesse bevuto in una vorace sorsata tutta l’esistenza  racchiusa in quel piccolo corpo. Mentre continuava a tenere schiacciata la piccola schiena  aveva sentito il proprio cuore accelerare leggermente i battiti e un lieve rossore salirgli al viso come nei momenti di piacere. Quando c’era stato infine il silenzio, il silenzio e l’immobilità, si era sentito inebriato come se avesse bevuto.  Aveva commesso un atto terribile, ne era consapevole, eppure, per quanti sforzi facesse,  per quanto a fondo potesse andare  nella sua anima alla ricerca di un rimorso o di un pentimento, non trovava  nulla, assolutamente nulla. Nemmeno l’ombra di un pentimento o di un rammarico. Anzi, uno strano insinuante desiderio: riprovare quell’emozione.
Era riuscito a mantenere la calma, era riuscito a contenere la disperazione della ragazza, l’aveva indotta a chiamare il 118 chiedendole  di tenerlo fuori per evitare lo scandalo, era riuscito a mettere in campo tutte le sue capacità persuasive, sfruttando il grande ascendente che aveva su di lei  che le si era affidata totalmente: in fin dei conti doveva solo dire quel che era successo, il bambino era coricato prono, perché  in quella posizione sembrava stare più tranquillo  e poi , rientrando nella stanza dopo pochi minuti,  aveva  avuto l’impressione che qualcosa non andasse per il verso giusto, il bambino  troppo silenzioso, troppo fermo, nemmeno il soffio  del respiro … Aldo aveva suggerito tutto a Elena che  piena di confusione, di incertezza,chiedeva cosa posso  fare, aiutami,  cosa devo dire,  devi dire quel che è successo, solo senza nominarmi,  dai magari quando arrivano riescono a rianimarlo, già, rianimarlo, rianimarlo …, magari  possiamo provare anche noi, cosa dici, ma no Elena tesoro mio,   vedi le mie mani quanto sono grandi, magari gli lascio dei lividi e poi chissà cosa pensano, dai Elena, amore caro,  dobbiamo farci coraggio, questo dolore ci unirà più, sì questo   dolore   ci   unirà      di più  aveva ripetuto Elena come in trance, soggiogata dalla sua efficienza. 
Tutto si era risolto in poco più di quarantotto ore, era stata fatta un’autopsia che aveva  parlato di morte per asfissia, era stata trovata una piccola malformazione cardiaca  che poteva aver facilitato il decesso. Morte in culla, come tante. Il funerale era avvenuto in forma molto privata, c’erano solo i genitori e la sorella di Elena che avevano accettato con esitazione la sua scelta di vivere la maternità  al di fuori di una vita di coppia e le erano stati accanto in quei momenti forse tirando un respiro di sollievo per quella difficile situazione che pur nel dolore si era risolta in fretta. Lui era riuscito a non farsi coinvolgere. Non aveva mai voluto sapere cosa esattamente avesse detto loro: gli era bastato il risultato. I primi giorni erano stati difficili, il lavoro era intenso, aveva poco  tempo libero, i dolori lo disturbavano come se la cura fosse diventata meno efficace, se aumentava troppo  le dosi gli veniva la  nausea e sudava in modo imbarazzante. Ciò nonostante cercava di star vicino alla ragazza almeno per telefono, cercando di farla sentire protetta e di convincerla della fatalità dell’evento. Gli sembrava di esserci riuscito. Ma forse aveva accelerato un po’ troppo i tempi, quando aveva iniziato a ridurre gli incontri e poi anche  le chiamate, quando aveva  opposto il carico esagerato di lavoro alle  sempre più pressanti richieste di lei. Forse non era stato del tutto padrone della situazione o comunque l’aveva gestita in modo non ottimale. Ecco perché erano arrivati a quel punto: quella sera sembravano essere  al cuore del problema. Più rilassato ora che poteva contare sull’effetto della dose extra del farmaco, Aldo alzò uno sguardo indifferente su Elena: il naso affilato   e gli occhi infossati sopra gli zigomi  alti  tracciavano come un segno di croce sul suo viso … sembrava avesse un crocifisso appeso in faccia. Si stupiva di quanto riuscisse a capire l’intensità del suo dolore   senza riuscire  a condividerlo. Comunque, inutile dire o fare: la loro storia era finita. Bisognava prenderne atto e portarla a termine nel modo più semplice e corretto possibile, soprattutto senza conseguenze.
La faccia da mater dolorosa di Elena si trasformò in una smorfia di  amarezza ; la vide alzarsi e correre  via verso le stanze da letto, le spalle in sussulto, : sembrava una foglia scossa dal vento, così sottile, leggera, sempre attraente nonostante la recente maternità, quella maternità che lei aveva ostinatamente voluto e che li aveva portati a quel punto.
Glielo aveva ricordato anche poco prima quanto calcolo sembrava esserci stato in quella gravidanza. Anche allora erano lì, in quella casa,  in quella stessa stanza. Lui era arrivato dopo di lei, come sempre e aveva notato la tavola apparecchiata come per un’occasione speciale: tovaglie e stoviglie pregiate, posate d’argento, fiori e candele al centro della tavola, bicchieri di cristallo. Elena era molto bella quella sera, aveva in sé qualcosa che la illuminava in maniera particolare: splendeva come i cristalli e gli argenti. Si era sentito avvolgere in una calda sensazione di benessere; entrando nel calore di quell’atmosfera, per qualche istante aveva anche pensato “Ma sì, forse vale proprio la pena di mollare la vecchia strada e percorrere questa nuova, un taglio netto e si ricomincia” . L’abbraccio di Elena era durato a lungo,  palpare le sue forme giovani e toniche lo aveva fatto sentire  di nuovo eccitato come un ragazzo, ma  l’entusiasmo era durato poco.
-         Ti devo dare una grande notizia,-  aveva detto Elena in un soffio sfiorandogli il collo con le labbra.
Il dubbio, l’allarme, il pericolo … in rapida sequenza si era sentito riportato in una realtà quasi giudiziaria, si era ritrovato a sciogliersi dall’abbraccio di Elena e a scrutarla con attenzione. I suoi occhi sembravano umidi di commozione, aveva un’aria esitante ma fiera mentre cercava di trattenerlo a sé con le morbide mani sottili. Ma lui le aveva tenuto con fermezza le braccia lontane: meglio nessun contatto, se c’erano “grandi notizie” in arrivo.
-         Non so come dirtelo …, è una cosa così importante … -
-         Beh, non resta che usare le parole più semplici e chiare. –
-         E’  che è una cosa così importante, è  la cosa più importante nella vita di una donna –
In quel momento  Aldo avvertì  come un colpo  in mezzo alla schiena. Rimase  per un attimo confuso dal dolore  ma sentì con chiarezza quello che lei stava aggiungendo e che in una frazione di secondo aveva già intuito:
-         Aspetto un bambino, - diceva Elena con una voce così mielata e sospirosa da sembrargli più pericolosa  e tagliente di una lucida lama.
Sì, aveva capito tutto, le luci i cristalli gli argenti, la bellezza e lo splendore di lei: tutto un trucco, un banale volgarissimo trucco per portarlo fino a quel punto, sperando di indurlo ad accettare quella terribile esperienza dalla quale si era voluto tenere sempre lontano: un figlio dall’amante.
-         Non mi hai detto che prendevi la pillola?- . Lo aveva detto controllando la voce, guardandola negli occhi con un mezzo sorriso. Lo sguardo di lei aveva ballato un po’ qua e un po’ là, come cercando un appiglio.
-         Sì, certo che la prendevo, infatti non so come possa essere successo, sono certa di non aver saltato neppure un giorno.  Il ginecologo dice che può capitare, in una minima percentuale di casi può succedere che non funzioni, a me  deve essere andata così.
“ Dev’essere andata così”: preso in trappola, ecco come si era sentito, preso in trappola come un pivello. Ma non aveva perso la lucidità:
-         Potrebbero forse esserci problemi allora, non so, anomalie, malformazioni, sarà meglio parlarne con  lo specialista e valutare l’ipotesi … - aveva fatto una pausa prima di aggiungere – l’ipotesi di un’interruzione.-
-         Un’interruzione? Un aborto vuoi dire? Oh, Aldo, no, non ci penso nemmeno, almeno non in questo momento.  Io mi sento tremare per l’emozione per quella che mi sembra la gioia più grande della mia vita dopo quella di averti conosciuto e all’aborto,no …  No, non ci voglio pensare, guarda non ci voglio proprio pensare, poi  comunque farò tutti i controlli che ci sono da fare, sta’ tranquillo e se sarà necessario … - il faccino luminoso e sorridente di Elena si stava corrugando   in un capriccio infantile.
 Non era sincera. Aveva studiato la parte e la stava recitando. Lui era un giudice esperto. Nelle udienze non partiva mai dalla presunzione di saper riconoscere un bugiardo, ma teneva comunque in gran conto le sue  impressioni e – nove volte su dieci – centrava il bersaglio. C’erano attori nati, capaci di raccontare in modo convincente le più incredibili menzogne, c’erano persone sincere e innocenti che sembravano mentire presi dalla paura di non essere  creduti e c’erano persone che non mentivano in modo abituale ma che ci provavano  senza  successo: Elena apparteneva a questo gruppo.   Mentiva, si sforzava di nasconderlo ma non ci riusciva.  Ci aveva provato ma lui non ci sarebbe cascato.
-         Niente aborto, allora. Scusami – aveva detto Aldo  con voce asciutta. – Ma allora come farai?-
-         Cosa? Come? Cosa vuol dire come farai?-
-         Sì, dico, a mandare avanti la gravidanza, col lavoro, e poi, quando nascerà, crescere un figlio è un bell’impegno, capisco che per te possa essere l’evento più importante di tutta la vita, ma rimane un’impresa non da poco sai? – avrebbe voluto aggiungere “lasciatelo dire da me che di figli ne ho cresciuti due” ma preferì tener fuori la sua famiglia da ogni contatto con quella vicenda.
-         Beh, ma, ci sei tu,  tu mi starai vicino no?-  Ecco l’obiettivo svelato. Era lui l’obiettivo di quella gravidanza. Lui che nei sogni immaginifici di Elena avrebbe dovuto finalmente decidere per il divorzio, lasciare la moglie e i figli e costruire con lei e per lei un futuro di benessere e di stabilità. Avrebbe potuto essere l’occasione per una lite furibonda, sarebbe stata la prima fra loro ma poteva essere anche l’ultima. Finire quella storia andata troppo avanti poteva essere la scelta giusta. Ma in quel momento non gli era sembrato opportuno. L’ ambiguità e la doppiezza mostrate da Elena lo avevano spinto a riflettere, a valutare con cautela la possibile eventualità di un ricatto. Aveva preferito la strategia dell’attesa. E così quella gravidanza era andata avanti, con Elena che la portava avanti con orgoglio trionfalistico , affermando il suo diritto alla maternità anche in assenza di una famiglia cosiddetta normale.  Ogni tanto lui raccomandava controlli , ogni tanto riproponeva l’ipotesi dell’aborto ma molto di rado, cercava piuttosto di diradare gli incontri, di essere sempre un po’ meno presente ma senza strappi netti. Era stato in quel periodo che i dolori si erano riacutizzati, sicuramente anche a causa dello stress. Era stato allora che il medico gli aveva prescritto  la cura, quella cura che gli aveva dato insieme sollievo dal dolore, benessere nonostante le difficoltà, senso di forza e determinazione. Il farmaco risolveva la rigidità muscolare, i disturbi della memoria, l’insonnia e quella strana sensazione di vivere come in un mondo invaso dalla nebbia: gli dava una sorprendente lucidità della quale gli era diventato impossibile fare a meno, quasi che in certi momenti ci fossero due persone che si davano man forte dentro di lui, trovando soluzioni che uno da solo avrebbe  considerato assurde e inappropriate.   Ecco perché ogni tanto assumeva una dose in più.
Si guardò intorno, nella stanza vuota.  Elena adesso era di là, in camera da letto forse piangeva ancora o forse stava solo aspettando che lui la raggiungesse e le chiedesse perdono. Ma  Aldo sapeva che tra le possibili soluzioni che lei poteva considerare c’era anche quella di raccontare a qualcuno i suoi  dubbi e con quelli di svelare la loro storia, con tutto quello che ne sarebbe potuto seguire. Si portò la mano al collo  girando la testa intorno,  per sciogliere la rigidità che si verificava quando stava fermo troppo a lungo:  lo sguardo gli cadde su uno dei  dipinti che aveva di fronte: nella nebbia dell’alba un pontile si spingeva nelle acque di un fiume o di un lago. Elena amava  passeggiare in riva al lago che si trovava a pochi chilometri dalla casa. Avevano spesso risolto così alcuni dei momenti più complicati della loro relazione. Si avvicinò alla parete per guardarlo meglio: gli risuonò nelle orecchie lo sciacquio delle  onde sulla riva, gli sembrò di sentire l’odore di terra umida, alla luce della luna, la luna che splendeva come quella stessa sera permettendo loro una splendida passeggiata sul pontile. Si immaginò là con la ragazza, sentì il suono dei loro passi sulle travi di legno, si vide mentre le poggiava  un braccio sulle spalle, si vide attrarla a sé con l’altro per averla più vicina, si vide tenerla stretta mentre si curvava su di lei … E un attimo dopo, mentre erano sul limitare del pontile, si vide lanciarla in acqua, sentire  il suo grido di paura, poi il richiamo, la richiesta di aiuto, poi vide se stesso buttarsi sul bordo, allungare un braccio, prendere la mano di Elena, tirarla su e poi con l’altro braccio sporgersi verso di lei, toccarle con delicatezza la testa, carezzarle i capelli bagnati, mormorare parole quiete, rassicuranti come una ninna nanna e poi cominciare a premere, a premere sulla testa per farla scivolare sott’acqua tenendola ferma, ferma,  così,  con  tenerezza ma con decisione, il capo di lei per un attimo bloccato  tra dubbio e  sorpresa, poi l’improvvisa agitazione al momento della tragica consapevolezza  e lui pronto ad afferrarle  i polsi con una mano , senza stringere troppo per non lasciare segni, e con l’altra continuare a schiacciare e premere e  tenere  la testa sotto, sotto, sotto,  fino a che dopo pochi minuti ogni resistenza era vinta.   Si sentì l’animo ingrandire come ricolmo di ogni potenza. Sentì il cuore accelerare i battiti, sentì un leggero rossore salirgli al viso, dischiuse le labbra in uno strano sorriso, inebriato come se avesse bevuto, bevuto la vita, sconvolto dal piacere.
Con passo sciolto e sicuro si diresse verso la camera  di Elena,lo sguardo lucido e brillante fisso davanti  a sé.    
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Marianna Spanu                                                                                     

                                                                                                                         

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