27.8.12

L'ULTIMA REPLICA

L’aeroplano sobbalza tra le stelle, la luna si è staccata dal cielo
e uno sciame di api,
energico e vibrante come lo schiamazzare di un bambino, fa grappolo intorno al viso di Kavin imperlato di sudore. Ha appena terminato le operazioni per l’acquisto on line del biglietto aereo e gli occhi sbarrati fissano con angoscia i graffi colorati, che, sul modello pronto da stampare, indicano l’orario di partenza e la destinazione del suo volo. All’improvviso lo schermo del computer gli appare come una tela incompiuta, abbandonata da un pittore, che ha perso gli strumenti del mestiere.
Kavin sente il corpo levitare leggero, la mente si perde dentro il quadro, barcolla come in trance e incomincia a navigare in un mare tumultuoso di immagini; la fantasia fa un salto in avanti e disegna con pennellate scomposte i contorni di un futuro delirante.
- Come si chiama questa città? - 
- Parigi -  risponde la sua compagna di viaggio.
- Grazie -
La tournèe di Kavin, iniziata in Italia, chiuderà il sipario nel teatro di Pigalle “La Belle Epoque” con l’ultima replica dello spettacolo di cabaret.
Il regista ha chiamato gli attori per le prove generali e nel camerino la truccatrice dà gli ultimi ritocchi al trucco, dipingendo le labbra di Kavin con strati generosi di rossetto.
 Iris compare davanti a lui in tutto il suo splendore.
- Il pubblico si aspetta qualcosa di nuovo da noi… - cinguetta - qualcosa di forte, erotico e insieme dolce. - 
- Che ne dici di una versione tecno del can-can di Offenback? - ironizza Kavin.
- Rien, rien, rien - protesta Iris con la voce da bambina viziata e i gesti delle mani ariosi come quelli di un direttore d’orchestra.
Il leggero ronzio dell’aria condizionata, che accompagna la conversazione, cessa di colpo e i due artisti, già vestiti con gli abiti di scena, iniziano a soffrire per il troppo caldo. Kavin sbuffa e si alza dalla sedia:
- Tra un po’ mi squaglio -
- Ho qui un ventilatore supertecnologico - risponde Iris agitando le piume viola del cappello come fossero un ventaglio.
Si solleva sulla punta dei piedi e avvicina le labbra a quelle di Kavin.
- Baciami - gli dice  
Ma lui non riesce a baciarla, la lingua della ragazza lo soffoca e rifiuta con disgusto quel bacio violento.
- Non mi toccare. -  sibila a denti stretti.
Afferra le braccia di Iris e la scuote con forza; gli occhi gialli sprizzano lance di fuoco:
 - Dove sei stata ieri notte? -
- Lasciami, brutto verme! Non ho paura di uno che non ha il coraggio di decidere cosa vuole essere nella vita. -
Iris si libera dalla presa con uno strattone e la scia del profumo di arancio amaro svanisce dietro la porta, che si chiude fragorosamente alle sue spalle.
Sgambetta furiosa dietro le quinte e il movimento ondulatorio dei fianchi fa tintinnare le perline luminescenti di cui è tempestata la guepiere rossa e nera. Quel ragazzo voleva la guerra e non sapeva che la guerra non termina con la pace, ma con la guerra successiva. Non riusciva a figurarsi come sarebbe stata la faccenda, ma guerra sarebbe stata. Aveva combattuto battaglie ben più crudeli nella sua vita per proteggersi dalle discriminazioni di gente barricata dentro la grettezza dei propri pensieri malvagi, pronta a distillare gocce di ferocia nei confronti del suo modo di essere, di vestire, di vivere e respirare. “Perché considerare la diversità come un’ anomalia, una perversione o addirittura un vizio, una variante deplorevole, che non dovrebbe esistere negli esseri umani?” si chiedeva.
Iris non avrebbe permesso al suo amico bello e stronzo, ancora alla ricerca di una propria identità, di tenerla sospesa nel limbo di una relazione ambigua, di insidiarla e sedurla, senza averne in cambio rispetto e considerazione.
Si sarebbe vendicata e gli avrebbe giocato uno scherzo atroce.
Intanto Kavin osserva la propria figura riflessa nello specchio. Solleva il mento, sgrana gli occhi, sbatte le ciglia, gira su se stesso; vede un corpo atletico, i muscoli scolpiti dall’attività sportiva, stretti nel bustino blu a pois gialli; le gambe grosse e pelose fasciate dalla calzamaglia nera, che risaltano sotto la gonna a balze, resa vaporosa dalle sottogonne con il volant arricciato.
Una goccia di sudore brilla sul viso, incorniciato dai riccioli arancioni della parrucca e immagina una scritta sul muro, sei fasullo e grottesco!
Si strofina nervosamente il lobo dell’orecchio destro, fino a ridurlo in sangue, e pensa di non aver seguito le raccomandazioni che si era imposto. Pessimo inizio di una strada, che si rivelava sempre pìù penosa da percorrere. Aveva calibrato con freddezza un ottimo piano d’azione, in cui prevedeva la repressione di ogni sussulto emozionale e di qualsiasi attrazione romantica o morbosa nei confronti di altri uomini.
Poi era comparso lui, una ragazza carina, furba e provocante. L’aveva scelta fra i tanti fighetti insignificanti, che si erano presentati numerosi al casting, decisi a tutto, pur di conquistare un ruolo nell’ultima produzione dello spettacolo di cabaret, carico di erotismo da quattro soldi.
Era la più bella, ma la più pericolosa, dietro gli occhiali nascondeva un difetto: due occhi azzurri miti, dolci, da pecorella smarrita, in cui Kavin naufragò in un vortice di emozioni, come un sasso travolto dalle acque impetuose di un torrente senza argini.
Si erano dati appuntamento in un bistrot sulla collina di Montmartre, era una sera brumosa, e Iris arrivò a scrivere arpeggi in una partitura incompiuta.
Sedevano uno di fronte all’altro a un tavolo, solitario come in un dipinto di Cezanne.
Al centro di una scena sospesa, un’aura misteriosa fluttuava sul profilo dei due volti, incastonati nella cornice delle note jazz de Les passants, cantata dalla voce graffiante di Zaz.
- J’adore cette chanson - sussurrò Iris
- Non sei adatta a fare la comparsa – sentenzia Kavin, porgendole un bicchiere di vino rosso.
- Mon Dieu, la stella si spegne prima ancora di nascere. - si chinò e soffiò sulla candela accesa, la fiammella svanì.
- Ho pensato che potresti essere la mia partner nel balletto del can – can. -
Silenzio
- Qual è il prezzo? Io non sono in vendita. - rispose la ragazza, nascondendo lo sguardo dietro  la frangia di capelli rosso tiziano.
- Tranquilla non sei il mio tipo. -  mentì spudoratamente.
 - Ok, allora non accetto la tua proposta. Se non c’è sesso non lavoro. -
- Tres bien, chiudiamola qui. -
- Oui - miagolò Iris e gli puntò addosso lo sguardo da gattina in calore.
Kavin si raschiò la gola  e alzò il calice sopra la testa bionda.
- Ti va di fare una passeggiata? -  chiese Iris
Camminarono lungo la Senna: i battelli scivolavano silenziosi sull’acqua e lasciavano una scia di vapore bianco e profumato; il vento faceva svolazzare il vestito di Iris, scoprendone le bellissime gambe.
Lo guidò impavida nelle tappe del loro girovagare, prima lo condusse da Madame Yvonne, un locale dove ballarono solo tango, poi lo trascinò al Queen Club de Les Champs-Elysées e lì si inebriarono con i ritmi assordanti della musica house fino a notte fonda.
Quella fu una giornata speciale, seguita da altre in cui Kavin iniziò a manifestare atteggiamenti aggressivi nei confronti di Iris, che incarnava una dimensione esistenziale alla quale non voleva appartenere. Doveva cancellarla dal suo mondo e dopo l’ultima replica dello spettacolo avrebbe bruciato il contratto di lavoro che li legava.
Divenne malvagio, violento, e con continue prepotenze oltraggiava la ragazza, che pure elargiva tenerezze, servizievole come una geisha.
La mente tesseva piani deliranti in cui immaginava di uccidere Iris e gettarne il cadavere nella Senna; la notte lo assalivano incubi angosciosi, da un nido dentro il suo corpo spuntava una colonia di termiti, che gli addentavano la carne con le robuste mandibole, formiche dalla testa rossa scavavano dall’interno il suo viso e larve di insetti gli sfarfallavano in gola.
Vedeva se stesso abbracciato ad una donna italiana dagli occhi neri e i capelli scuri e insieme passavano sotto un cielo punteggiato di pensieri cadenti, di insegne luminose, mentre le automobili scorrevano lente e silenziose nella via come su una passerella vellutata.
Pioveva e sprofondato nella poltroncina in midollino del Caffè Flore s’avvolgeva nel piumino Dolce e Gabbana, poi si alzava e sorrideva ai flash dei fotografi, che lo circondavano e gli impedivano di entrare nella sua Cadillac color perla.
Si fermava in una stradina di Saint Germain de Prés, accanto a un carrettino di legno carico di cestini traboccanti di petunie, e ascoltava affascinato la voce sensuale di una ragazza che, accompagnata da due musicisti con chitarra e contrabbasso, cantava una canzone di Edith Piaf.
La prova dello spettacolo sta per incominciare, ma prima Kavin ha bisogno di parlare con Iris per mettere in chiaro alcune cosette. Si affaccia al suo camerino e lo trova vuoto: sulla panca di legno giacciono abbandonati il cappello rosso e nero con le piume di struzzo e altri abiti di scena. Iris è scomparsa. La cerca ovunque, chiede al regista, al direttore artistico, ai tecnici, nessuno l’ha vista, di Iris nessuna traccia. Ripete in continuazione il suo numero di cellulare e la risposta è sempre la stessa, la persona da lei chiamata è inesistente, riattivi l’immaginazione dopo il segnale acustico.
Visioni mostruose, nebulosamente distinte, lo rincorrono: serpenti strisciano su corde di violino spezzate, scorpioni giganti marciano all’attacco e gli iniettano veleno in ogni poro della pelle, ragni saltatori con dieci occhi lo intrappolano dentro i filamenti setosi di tele circolari.
Esce di corsa dal teatrino di Pigalle, attraversa a piedi le strade di Montmartre e arriva al quartiere latino del Marais, dove in una squallida soffitta abita Iris.
Immagina di trovarla.
- Prendimi - gli dice, poi sparisce dietro una tenda e sale su per le scale che portano nella sua stanza. Lui si lancia all’inseguimento, corre, la vede scodinzolare e voltarsi a guardarlo con atteggiamento di sfida.
- Ora ti prendo e sarai mia, - le dice - ormai sei in trappola, presa. - Stringe le mani intorno al collo e la strangola.
Batte i pugni sulla porta, grida, invoca forte il suo nome, nessuno apre.
Kavin vaga per ore e percorre le sponde della riva destra e di quella sinistra della Senna, si aggira per i locali, i bistrot, i giardini di Luxembourg, per Saint Michel, convinto di sorprenderla in uno dei luoghi, che era solita frequentare.
Alle prime luci dell’alba salta sulla metropolitana e arriva nel favoloso mondo di Amélie Poulain, dove la protagonista del film gira per le strade a portare la felicità nelle vite di chi le sta vicino. Proprio lì, a Montparnasse, lui ha un piccolo appartamento nella Rue Delambre.
Ma adesso Parigi è vuota e melanconica e Kavin si lascia cadere su una panchina, fredda come la morte. In preda ad uno dei suoi deliri onirici sente il rumore di foglie secche e dalle acque fangose di un laghetto si alzano in volo milioni di cavallette che lo raggiungono, lo attaccano e gli divorano i testicoli. Urla, il giaciglio di ferro su cui siede inizia ad oscillare, suda e brividi di freddo lo scuotono; apre gli occhi, li richiude, li riapre e vede Iris.
Allora scappa, va incontro ai fulmini e si avvicina ai tuoni. Poi sente uno sparo, Iris l’ha seguito ed è stata colpita, eppure continua a camminare e i suoi passi non fanno rumore, il rumore è tutto nella testa di Kavin. Sparano ancora, Iris muore, in quell’istante un arcobaleno risplende nel cielo e Kavin piange. Anche un uomo ha il diritto di piangere, di ridere, di soffrire e piangere come ogni essere umano. Si sente piccolo, fragile, trema e si identifica con un animaletto indifeso, simile al Koala, che una volta vide allo zoo. Aveva gli occhi lucidi, piangeva, forse pensava ai giorni felici, a quando poteva saltellare sugli alberi della foresta in libertà e nutrirsi di foglie di eucalipto.
Kavin ha perso la percezione del tempo e dello spazio e, acquattato dietro la parete del piccolo e stretto corridoio del teatro La Bella Epoque, ascolta le voci che provengono dal camerino di Iris. Il maiale del regista, con i capelli impomatati e i baffetti sottili come un gigolò marsigliese, ha chiamato i gendarmi. Lo capisce quando sente una voce minacciosa ringhiare al telefono.
- Fermate tutti quelli, che hanno le caratteristiche di quel cabarettista italiano: alto, capelli biondi lunghi, occhi gialli. Attenzione, è un paranoico seriale, ossessionato da manie omofobe, ha sequestrato un’attrice di nome Iris e forse l’ha uccisa. - 
Sì, parlano di lui e il cuore gli pulsa nella testa.
Deve scappare, fuggire, nascondersi, dare l’addio alla Bella Epoque.
Con passo felpato da pantera raggiunge l’angolo degli uffici per recuperare la valigetta con tutti i suoi documenti.
Entra e sente un profumo di arancio amaro.  
- Iris sei tu?  -
- Se lo credi sono io. - dice Iris. -  Sono venuta ad avvertirti. Puoi ancora salvarti Kavin. -
- Da cosa? -
- Manda via quella puttana italiana, Kavin. -
- E’ la sua grande occasione. -
- E’ espressiva come un cadavere. -
- E’ brava. -
- Se lei è una star, io sono la stella cometa. -
- Va bene,  ma prima dimmi perché sei sparita per due giorni. -
- Volevo vendicarmi. Mi hai sempre mentito, non mi hai mai amato, non sei mai stato mio.-
- Non ti ho amato come volevi. -
- Merda, non mi hai mai visto, né sfiorato, né capito. -
- Non so niente del tuo passato. - 
- Mon Dieu, non ero dal mio amante, ma da due vecchi amici. -
- Non ti credo, sei andata da lui. -
- Non ti lascerò, - dice Iris con dolcezza -  sarai tu a lasciare me. -
Kavin si volta e chiude la porta con un giro di chiave.
- Io non ti lascio uscire. -
- Ah sì? - dice Iris con aria di sfida - E cos’altro farai per fermarmi? -
Kavin ha uno scatto d’ira e l’afferra per il collo.
- Se vai da lui ti strangolo. - Subito si pente e lascia la presa. 
- Sei ridicolo. -
- Ti strangolerò…ma dopo lo spettacolo - dice
Gli spettatori fremono, finalmente il sipario si apre su una scena che appare come una volgare imitazione di un dipinto di Henri de Toulouse Lautrec. Sullo sfondo di una scenografia di cartone è tratteggiata l’immagine del Moulin Rouge e in primo piano un coro di ballerine, schierate in fila, balla al tempo di una composizione ritmata e molto veloce.
Il cambio di luce da rosso in azzurro e da blu in rosa mette a fuoco l’ingresso in scena degli attori.  La metamorfosi è compiuta,  Kavin e Iris magnificamente truccati si presentano con il fascino delle più belle soubrette della Belle Epoque. Le due ballerine volteggiano, saltellano e le gambe, che slanciano ritmicamente verso l’alto risaltano dalle ampie gonne e sottogonne colorate.
Il pubblico si infiamma e accompagna la loro esibizione, battendo il ritmo con le mani sulle note del can-can della musica di Orfeo all'inferno di Offenback.
E’ un trionfo.
- A che ora dobbiamo essere in aeroporto? -  domanda Giulia, posandogli una mano sulla spalla. Come in un cambio di scena di un film in 3D, Kavin esce dal vortice delle sue proiezioni mentali per ritornare davanti al computer. La stampante gli sputa addosso il biglietto dell’aereo. Kavin lo afferra e lo strappa. Un sole improvviso riempie la stanza, abbagliandolo.
- Hai intenzione di rinunciare alla tournèe? - 
- No, l’ultima replica dello spettacolo si farà alla Belle Epoque. - 
- E come ci arriviamo,  sulle ali di un gabbiano? -
- In treno, con il diretto Milano-Parigi. -
- Sarà bellissimo, dormiremo insieme nella cuccetta del vagone letto. -
- Sì, anche per me. - le dice accarezzandole i capelli neri. – Non voglio più viaggiare in aereo, solo l’idea mi provoca allucinazioni e crisi di panico.
- Ha chiamato Iris, quella stronzetta della tua amica parigina, per confermare la prenotazione  dell’appartamento di Rue Delambre a  Montparnasse. -  
- Ok, la sua esistenza inizia e finisce qui – taglia corto Kavin.
Poi, mentre con un gesto tipico fa scorrere le dita aperte sul ciuffo di capelli sottili come fili d’erba, fissa gli occhi neri di Giulia e le sussurra:
- Sei pronta a debuttare con me nell’ultima replica a Parigi del nostro spettacolo? -
Giulia sorride  e gli dà un bacio appassionato sulla bocca
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Luisella Sassu

                                                                                                                     

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