27.8.12

PENSA SAL, PENSA!


Le certezze sono come un terreno accidentato, difficile non cadere dentro una buca.

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Non avevo nessuna intenzione di far finire le cose a quel modo.

Ho visto Robert che, entrato nella sala, si era messo a riordinare i candelieri di plex. Non c’era bisogno di sistemare alcunché nella sala e comunque non è mai stato compito suo mettere le mani lì dentro.
Il suo lavoro è sempre stato quello di Amministratore della nostra società ‘Aeterna’, il resto è compito mio. Era nervoso e agitato, i candelieri continuavano a cadergli dalle mani, non mi sembrò il caso di farglielo notare, oltretutto ero troppo occupato per conto mio: tre cadaveri attendevano le mie attenzioni, e anche se non si lamentavano avevo tutta l’intenzione di finire in fretta e andarmene.

Quando l’ultimo dei commessi ha lasciato l’agenzia e siamo rimasti soli, Robert ha smesso di trafficare sullo scaffale e mi si è avvicinato, Devo parlarti, ha detto con voce esitante. Fino a quel momento non ricordavo di aver intuito qualcosa prima, che so, un dubbio di passaggio, di quelli che ti fanno  alzare dal letto come una molla o una sensazione, una qualsiasi, che riguardasse la questione.
No, nessuna fottuta sensazione.
Ero lì che sistemavo le mani di tale Freddy Malcom che non volevano saperne di restare al proprio posto, ho deciso di legarle con il rosario e buonanotte. Non mi sono neanche girato, ho detto, Che vuoi Robert?, e ho continuato a fare il mio lavoro, abbastanza distratto da non accorgermi che quel che voleva dirmi era abbastanza importante. Ha detto che lui e Tea avevano parlato a lungo e che avevano deciso che fosse lui ad informarmi.
Lui e Tea cosa? Non ho detto nulla. Ho solo aspettato che continuasse.
Prima di tutto voglio dirti che mi dispiace amico, non volevamo che accadesse. Non pensare che non abbiamo valutato la situazione prima di arrivare a questa conclusione. Lei ti vuole bene Sal, e sono certo che anche tu….
Cosa cazzo vuoi dirmi Robert? So benissimo cosa proviamo uno per l’altra io e mia moglie, non ho bisogno che tu me lo ricordi.

Cominciavo a innervosirmi, probabilmente Robert se n’è accorto e ha persino pensato per un attimo di finirla lì e di non continuare il discorso, perché si è voltato come per andarsene, ma qualcosa deve avergli fatto cambiare idea e ha continuato a parlare dandomi le spalle.
Il fatto è che io e Tea ci amiamo Sal.

Se Freddy Malcom si fosse alzato e avesse cominciato a ballare il tip tap non sarei stato così sorpreso. Al massimo gli avrei chiesto dove trovasse l’energia a novantadue anni suonati.
Credo che il sangue abbia smesso di circolarmi nelle vene e si sia fermato al semaforo del cuore.

Sono diventato sordo e muto. Mi sono voltato a guardare Robert, anche lui adesso mi guardava, aveva occhi umidi e le rughe della fronte profonde come trincee, vedevo le sue labbra muoversi ma non sentivo più ciò che diceva. Pensavo solo a noi due, a me e Robert, vent’anni prima, lui era quello intelligente e bello, quello che usciva con quattro ragazze contemporaneamente. Io quello introverso e impedito al quale a volte riservava le briciole avanzate dalle sue abbuffate di sesso. L’unica donna che ero riuscito a trovarmi da solo l’avevo sposata e adesso lui…
Ma che cazzo stava dicendo? Perché adesso avevo la sensazione di averlo sempre sospettato? 

Due mesi fa Tea ha trovato le lettere di Susan che avevo nascosto tra le mie mutande, dopo una furiosa litigata ho svuotato il mio armadio nel portabagagli dell’auto e mi sono trasferito in barca.
Le cose tra noi non vanno proprio alla grande da qualche anno, è arrivata la noia con tutti i suoi amici a farci visita e non vogliono saperne di andarsene.

E’ successo che Susan, la mia dentista, era diventata la mia amante. Era solo curiosità la mia, sbavavo da mesi guardando le sue labbra che sfioravano il mio volto, volevo constatarne la morbidezza con la lingua che mi faceva tenere a lungo ritratta per lavorare meglio al mio sorriso. Ho scoperto dopo che aveva la pessima abitudine di scrivere ogni cosa, comprese le nostre acrobazie sulla poltrona inclinata del suo studio. Pensavo comunque di tornare a casa alla fine della ‘cura’, perché Tea è l’unica donna che abbia mai veramente amato, lei è mia moglie, la madre dei miei figli e prima o poi avremmo ritrovato la passione di un tempo.


E ora quel figlio di puttana era lì davanti a me a dirmi che lui mia moglie se la scopava!
Robert mi aveva appena colpito, dovevo tirare fuori i coglioni e reagire.
La rabbia mi è cresciuta dentro come un onda e quando non sono riuscito a contenerla ho cominciato a urlare. Non ricordo una sola parola di ciò che ho detto. Non ricordo più neanche la faccia di Robert, avevo un milione di pugni nelle mani e piedi pieni di calci che ho scaricato su di lui.
Non si difendeva nemmeno il bastardo. E se l’ha fatto io non me ne sono accorto. Ho visto il candeliere di rame che stava lì vicino alla cassa e un attimo dopo lo tenevo in mano.
L’immagine successiva… è quella di Robert steso sul pavimento.

Che era morto non ho avuto dubbi, non c’è modo di sbagliarmi su queste cose.
Improvvisamente è tornato il silenzio di un’agenzia funebre deserta, gli unici testimoni erano tre cadaveri composti.  
Avevo ammazzato Robert cazzo e dovevo farlo sparire. L’ho sistemato in una cassa nel magazzino sul retro.

Ancora adesso non riesco a capire cosa mi sia preso: ho ammazzato Robert santoddio.  
Posso percorrere Manhattan da nord a sud a piedi mille volte e ripetermi che non è successo, che forse sto avendo un incubo, ma ho camminato per ore, ho corso quasi, senza riuscire ad allontanarmi di un solo passo dalla realtà.

Ora devo pensare a cosa fare, trovare una soluzione per non rischiare di finire anch’io in una bara con le sbarre e sarà meglio che pensi in fretta.

M’interrogheranno: che fine ha fatto Robert? Non so, quando sono uscito era nel suo ufficio alla scrivania, l’ho salutato come sempre e sono andato via. Dovevo andare…non dovevo andare da nessuna parte altrimenti mi chiederanno perché poi non sono andato, se ho testimoni ecc…Sono andato alla mia barca, ecco dove sono andato, mi sono disteso sul letto e mi sono addormentato. Ho incontrato qualcuno? Non ho incontrato nessuno.
Ecco cosa dirò alla polizia e spero di essere creduto perciò sarà meglio che mi calmi e trovi una soluzione su come sbarazzarmi del corpo di Robert.
Io, un necroforo, ho un cadavere che mi avanza, uno di troppo insomma, farlo sparire però non sarà facile. Pensa Sal, pensa. Sarà meglio chiamare Tea e tastare il terreno, sentire se sospetta qualcosa e stare bene attento a far finta di nulla. Di sicuro lei avrà cercato Robert e non trovandolo mi chiamerà.
Controllati Sal, controllati. Troverai una via di fuga.











****

Sento il rumore ovattato delle cime che si tendono e il sartiame fischiare e percepisco il rollio della barca. Si è alzato il vento e le drizze sbattono contro gli alberi. E’ notte ma non riesco a dormire, ho un’incudine al posto della testa e ho sete. Provo ad alzarmi ma non riesco a muovermi. E’ buio pesto e sono completamente vestito, ho il braccio destro incastrato sotto il corpo e non riesco a spostarlo, le mie gambe urtano qualcosa di solido, provo a spingerlo con il piede ma come lo muovo il mio ginocchio sbatte contro un muro. Cosa cazzo succede? Comincio ad agitarmi e respiro a fatica: sono incastrato sotto qualcosa o sono paralizzato? Ieri sera ho svuotato una bottiglia di non ricordo cosa. Eviterò di bere a occhi chiusi d’ora in avanti. Ma adesso ho sete cazzo, devo trovare la forza di uscire da qua sotto. Riesco a sollevare l’incudine di pochi centimetri ma l’urto contro un imprevisto soffitto mi fa quasi perdere i sensi.
Ora ho un dolore sulla fronte che vorrei massaggiare ma lo spazio intorno al mio corpo è stretto e la mano non riesce a raggiungere la fronte.
Cristosanto non sono sotto qualcosa, ma dentro qualcosa.
Le mie corde vocali si tendono e inspiro aria per dare forza a un urlo che non arriva alle mie orecchie. Sento il cuore che martella, mi sembra di averlo fuori dal corpo, sopra il petto, pesante e caldo.
La cassa è troppo piccola, non ha lo strato di gommapiuma né la fodera, è una cassa non finita in legno di ciliegio. La riconosco toccando il legno con le dita libere della mano sinistra. E’ una Octagonal di 28,2 centimetri di profondità e 182 centimetri di lunghezza, incollata, chiodata e particolarmente resistente. Non c’è possibilità che io riesca a spaccarla con i piedi, non ho spazio sufficiente per calciare la sponda inferiore. Il terrore mi fa battere i denti e sono scosso da un tremore che fa oscillare la cassa. Provo ad agitarmi immaginando che sia poggiata su una base dalla quale potrebbe cadere e con un po’ di fortuna rompersi. Comincio a muovere le spalle e i fianchi, continuo così a lungo, non so quanto, ho perso la cognizione del tempo, ma a parte farmi malissimo non ottengo niente. Pensa Sal pensa. Non morirai chiuso dentro una cassa che magari hai costruito con le tue mani. Rilassati e pensa.
Chiudo gli occhi e respiro. I miei polmoni riciclano l’aria che comincia a mancare. Il tempo si ferma del tutto.

Improvvisamente sento un rumore sordo che proviene dall’esterno, tum tum tum…una voce…SAL SAL… qualcuno mi sta chiamando. Temo che non vedendomi arrivare vada via. SONO QUI, urlo forte e questa volta sento la mia voce, SONO QUI.
Poi apro gli occhi e mi ritrovo seduto nel letto. E sono felice. Era un incubo, un fottuto stramaledetto incubo. Muovo il braccio destro addormentato e i piedi e la testa e continuo a ripetermi la stessa cosa. Un fottuto stramaledetto incubo ecco cosa è stato. Il rumore che mi ha svegliato continua.. tum tum tum. Qualcuno sta bussando sul tambucio. Vado ad aprire. Tea mi guarda attraverso il vetro: Sal apri maledizione!  



















Tea

Tea aveva mani e piedi grandi, potrei persino ammettere che questo è  ciò che ho notato la prima volta vedendola, quando lei si inchinò a raccogliere la borsa da mare, ma in realtà furono i suoi seni che scivolavano fuori da un costume troppo permissivo. Distolsi lo sguardo, per non metterla in imbarazzo e mi concentrai sulle mani che afferravano i manici della borsa. Poi una mano lasciò la borsa e  trafficò con le tette e la fascia del costume che sembrava rifiutarsi di accoglierle ancora.

Quando si incrociò il nostro sguardo feci una smorfia e alzai  le mani in un gesto di comprensione, quasi che avessi dimestichezza con quel genere di cose. Lei si volto e andò via portandosi dietro le mani, i piedi e la sua montagna di capelli neri, lasciandomi li gonfio, dolorante e deluso. La incontrai al bar venti minuti dopo che pranzava, seduta al tavolino, aveva un vassoio enorme di insalata: mangiava e leggeva. La imitai, non il suo menù, odio l’insalata; ordinai una bistecca e aprii il mio libro. Avevo quel libro tra le mani da settimane, non sapevo perché, nonostante amassi lo scrittore, quel libro non riusciva a prendermi. Lo trovavo noioso, dopo  una premessa avvincente si era arenato in una macchinosa descrizione di un cazzo di pendolo che nessuna persona sana di mente avrebbe trovato interessante. Ma non l’avrei lasciato a metà, io finisco sempre quello che inizio, perciò continuavo a trascinarmelo dietro sperando di superare lo scoglio e di riprendere così a nuotare felice nella geniale scrittura dell’autore.
Ero curioso, mi prese la smania di scoprire cosa stava leggendo la ragazza fuori di tette che rischiava di infilzarsi la guancia con la forchetta tanto era presa dal suo libro.
Poi successe. La porta delle occasioni si spalancò ed entrai: il maglione di Tea scivolò dalla spalliera della sedia e cadde per terra. Saltai a raccoglierlo e glielo porsi. Lei si voltò e per prendere il maglione chiuse il libro: Post Office di Charles Bukowski. Avevo letto quel libro qualche tempo fa. Glielo dissi. Ti sta piacendo il libro? Certo, altrimenti non lo leggerei. Beh, non è mica così scontato? Io ad esempio…. Scusa, sto pranzando e voglio stare sola.
La porta delle occasioni sbatté con tale violenza che mi fece indietreggiare e tornare al mio posto con la stessa velocità con cui mi ero alzato.

Una settimana più tardi ci incontrammo casualmente al  matrimonio  del mio amico Attalos, un greco di due metri che sposava Melania, una brunetta piccola e malinconica. Scoprii che Tea era anch’essa di origini greche, nata in America e figlia di un necroforo milionario. Me lo disse  Attalos durante una pausa della cerimonia, che a quanto pare sapeva tutto o quasi della bella Tea Pescatore, compreso il fatto che aveva appena divorziato da un tale che la picchiava e che aveva sposato neanche un anno prima.
Gironzolavo nella sala dell’hotel Astoria intrattenendomi a parlare con quelli che conoscevo. In realtà ero distratto perché seguivo con lo sguardo i movimenti della ragazza. Non sapendo che fare misi in pratica il consiglio di mia madre: quando non sai cosa fare, non fare niente!
Decisi di aspettare che la sorte agisse per me. Ero ancora  un ottimista a quei tempi. Ci trovammo  a meno di un metro di distanza, entrambi con un calice in mano, bevendo ci guardammo.
Fu lei ad avvicinarsi.
Ma noi ci conosciamo?

Dopo fu una festa divertente, ci ubriacammo e ballammo persino un tango. Impiegai l’ultimo secondo di lucidità per scrivere il suo numero di telefono sul pacchetto di sigarette. Poi Tea sparì dentro a un taxi e andai a casa. Mi masturbai pensando alle sue  mani grandi e ai suoi folti capelli. L’avrei chiamata l’indomani, non avrei permesso a nessuna porta di chiudersi prima di essere sicuro che ci fosse anche lei nella stanza. 
 




****
Ora siamo qui, nella stessa stanza, seduti al tavolo della dinette un po’ prima che i fatti della sera precedente mi ritornino in mente e quando la memoria irrompe nel mio cervello è tropo tardi per seguire un piano, oltretutto non ho alcun piano. Tea mi guarda con troppa attenzione, ho l’impressione che studi le mie reazioni, dice di essere qui per portarmi la posta, dice che i ragazzi stanno bene e che domani Bobby giocherà contro i Meats boys in Central Park e che non posso mancare. Poi, notando il mio stravolgimento, dice che si vede che ho bevuto, che ormai sono un alcolista di merda, che mi mancava solo questo, non mi bastava fare il puttaniere? Mi chiede se Susan è di sotto, le dico che tra me e Susan è tutto finito che anzi, non è mai cominciato niente. Ma mi accorgo per primo che non sono abbastanza convincente e che lei non crede a una sola parola di quello che dico. Dopo qualche minuto di silenzio esordisce con’ se ti vedesse papà….’.

Orestes Pescatore è morto da quindici anni per un infarto. Grazie a lui sono quello che sono e ho quello che ho: un’attività redditizia che non conosce crisi e una posizione sociale che mi sarebbe stata altrimenti negata per nascita. Sono figlio di operai modesti e ignoranti, appartenenti a una generazione di operai modesti e ignoranti. Il mio era dunque un destino dalle modeste possibilità economiche sfuggito all’ignoranza grazie a un paio di semestri al college prematuramente abbandonato per un lavoro di informatore scientifico. Fino a quando Orestes non aveva individuato in me l’ingegnosità degli spiantati  e mi aveva assunto. Era socio del padre di Robert, anch’egli deceduto due anni dopo in un incidente aereo lasciando il figlio a dirigere l’agenzia madre dell’Aeternum, che contava sette sedi nella sola Manhattan e altrettante sparse nel New Jersey. Robert l’avevo conosciuto al college, avevamo condiviso un periodo spensierato in gioventù, ma allora non eravamo proprio amici. Lo siamo diventati dopo, quando il caso ci ha fatto incontrare ancora. Lui nel frattempo si era laureato in economia, perciò fini a dirigere l’azienda ed io a svolgere la parte sporca di un lavoro che non avrei mai scelto. Accettai senza riserve di specializzarmi in casse da morto e di programmare viaggi a chi lascia il certo per l’incerto.


A fatica cerco di non allontanarmi da quel tavolo dove io e Tea sediamo a piedi nudi, lei mi guarda attraverso gli occhiali, è vestita di verde, lo stesso colore dei suoi occhi nascosti. Nasconde ben altro ne sono certo, ma non sono nella posizione di fare domande, seguirebbero le sue di domande e a quel punto dovrei buttarmi in mare per sfuggirle. Ho solo un vantaggio su di lei, io so. So quello che vuole sapere. Dov’è Robert. Certo è venuta qui con la scusa della posta per accertarsi che lui mi abbia detto ciò che insieme hanno deciso di farmi sapere.
Non riesco a controllare i gesti delle mani e decido di impegnarle controllando la posta. Pubblicità, estratti conto bancari, ancora pubblicità, una rivista specializzata nel settore funebre. La sfoglio distratto mentre Tea prepara il caffè.
A volte succede all’improvviso. Tu stai lì a fare altro, che so, a controllare i tuoi passi o a bere un bicchiere d’acqua senza averne voglia e il tuo cervello partorisce l’idea che stavi aspettando.
La via di fuga è qui, davanti a me, è sempre stata qui. Perché non ci ho pensato prima?


Su una pagina della rivista è raffigurato il simbolo del Tao, la didascalia ne spiega il significato: Nelle filosofie orientali il simbolo del tao, altrimenti detto anche dello “yin e yang”, rappresenta il cammino, il divenire di tutte le cose, che si realizza con un movimento che oscilla tra due estremi: ogni volta che uno dei due viene raggiunto, una forza spinge in direzione contraria e così via. Le due metà in cui è diviso il simbolo circolare rappresentano dunque due principi opposti e complementari al tempo stesso, per esempio; il femminile e il maschile, il freddo e il caldo, l’oscurità e la luce.

Due estremi, il femminile e il maschile. Ecco cosa mi rimane dell’articolo: il simbolo e quelle parole, due estremi, il femminile e il maschile. Uno dei miei defunti è una donna morta di stenti e in solitudine nel suo appartamento. I vicini hanno fatto una colletta per il suo funerale. Tanto pietoso il gesto quanto indifferente per loro sarà la sua sepoltura prevista per domani.
Nina Martinez ha un corpo minuto, peserà al massimo quaranta chili, nella sua cassa c’è lo spazio sufficiente per sistemare un altro corpo.
E’ morta sola, ma il suo futuro è in compagnia.
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Il caffè di Tea è sempre stato pessimo, ma questo è accettabile. La ringrazio un attimo prima che la temuta domanda arrivi come uno sparo, Hai visto Robert? Poi leggendo nei miei occhi la sorpresa sul perché me lo sta chiedendo, rinuncia alla risposta e si alza per andarsene. Vorrei abbracciarla e dirle che l’ho sempre amata e che anche adesso la amo, che non sono cambiato. Ma c’è un’ipocrisia nella frase e me ne rendo conto, perciò non dico nulla. La saluto promettendole di andare al parco per la partita, e chiudo la porta alle sue spalle individuando quello come un gesto definitivo di qualcosa che per il momento non riconosco.

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Ho circa un’ora prima che arrivino i commessi. Recupero la bara dove ho chiuso Robert.
Carico il corpo sulle spalle e lo sistemo nella stessa cassa con Nina Martinez; la testa ai suoi piedi, nella posizione suggeritami dal simbolo del Tao, come due gemelli in una pancia.
Prima di procedere alla saldatura del coperchio di zinco saluto Robert per l’ultima volta.
Non avevo nessuna intenzione che le cose andassero in questo modo amico, ma devi ammettere che te la sei cercata. Potevi avere tutte le donne di Manhattan, dovevi proprio prenderti la mia Tea?
Riposa in pace.
Saldo e inchiodo, finisco il lavoro come deve essere fatto, faccio sparire le prove, brucio nel forno la cassa in cui avevo provvisoriamente sistemato Robert.
Quando arriveranno i commessi mi troveranno alle prese con le altre salme. Tutto nella norma.
Ci penseranno loro e portare la bara nel cimitero del Queens. Io resterò qui per un po’, poi andrò a dormire finalmente.

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E’ notte, Sal ha raggiunto il letto come un naufrago.

Apre gli occhi nel buio, tenta di muoversi ma riesce appena a sollevare la testa. E’ lucido, ricorda di essere già stato nello stesso posto.
Si rassicura: è un incubo che come la notte prima finirà, si sveglierà e ogni cosa tornerà al suo posto.
Non vuole perdere il controllo ma comprende che per allontanare la paura occorrono anche le mani e le sue non sono a disposizione al momento.

Comincia a dubitare di potersi liberare di quella cassa, dove occorre fare luce per scorgere anche un solo brandello del suo corpo improvvisamente ingombrante. Occorre fare luce anche dentro se stesso per andarsi a leggere le risposte a un paio di domande: per quanto tempo potrà recitare sul palco dell’apparenza o, come un funambolo, stare attento ai suoi passi centimetro dopo centimetro?

Pensa Sal, pensa.
Si chiede quale maledetto incubo può tornare due volte, o non finire mai!

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Lella Pintus


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