27.8.12

GAMBERI E NUVOLE

“Che puzza di pesce marcio!”
Ignazio Poldo attraversò l'atrio, insolitamente vuoto, del ministero del
Pesce Crudo, con la sua andatura dinoccolata. I lembi della camicia bianca
penzoloni, l'aria stufata e la ciccia sbrindellata. Era un torrido 7 di agosto.
L'indomani sarebbe andato in ferie.
Due settimane di ludibrio con Ortensia, la moglie novantenne cesellata di
pelle cascante e dotata di moderata allegria. Avevano prenotato una
pensioncina di montagna a 10.000 piedi, con annesso percorso podistico e
bocciofila rigorosamente in piano.
Niente mare. Lui lo odiava il mare.
E negli anni aveva imparato a detestare anche il pesce. Era diventato
funzionario responsabile del settore Conta Lische, appena dopo il diploma,
per pubblico concorso.
“Il posto fisso figlio mio! Il posto fisso!”. Sua madre glielo ripeteva ogni
sera, prima del bacio della buona notte, fin dalla nascita, per farlo
addormentare.
Ed ora che di anni ne aveva cinquantaquattro, (trentasette dei quali li aveva
passati a servire lo Stato in modo inappuntabile, neanche un giorno di
malattia, mai un richiamo, solo encomi e lodi), Ignazio Poldo era stufo
marcio. Il solo pensiero di arrampicarsi per le scale che lo avrebbero
condotto al suo ufficio gli procurava la nausea. Il tanfo di pesce azzurro
che permeava l'aria dello stabile gli avvelenava l'esistenza.
“Poldo, ha sentito che è successo?”
Araldo Bestioni, il capo del settore contabile, gli si era parato davanti
spuntando da un nebuloso sottoscala. Aveva un aria greve.
“No Bestioni, che cosa?”
“Venga con me, presto!”
“Dove andiamo??”
“Nella sala delle Decisioni Unilaterali, venga!”
Ignazio seguì il Bestioni lungo un ampio corridoio, anch'esso semi deserto.
Il capo contabile lo precedeva di poco ed Ignazio ne fu sollevato. C'era
qualcosa in tutta quella situazione che gli metteva paura. Non aveva la
minima idea del perché stessero correndo all'impazzata verso la sala più
importante del Ministero, ma era contento di avere qualcuno che lo
precedesse.
La sala delle Decisioni Unilaterali, (conosciuta anche come quella del
grande specchio, poiché il ministro era solito prendevi le decisioni di
maggior rilievo dopo essersi consultato a fondo, nel corso di estenuanti
riunioni in contraddittorio, con la sua immagine riflessa), si trovava al
primo piano dello stabile.
Imboccata la grande scalinata che li avrebbe condotti fino all'aula
incriminata, Ignazio cominciò ad udire un notevole trambusto. Decine di
impiegati reverenziali sostavano al limitare del grande portone d'ingresso
sbirciando timidamente all'interno della sala. I due funzionari varcarono la
soglia con perentoria decisione e la situazione si palesò subito come
estremamente grave. Decine di agenti perlustravano l'intera area con
sofisticate attrezzature. Il direttore della sicurezza si intratteneva con il
capo della polizia. I viceministri discutevano animatamente con i sotto
ministri mentre i pressoché ministri ascoltavano basiti ed i ministri così
così assumevano un aria corrucciata e preoccupata. Era il caos completo. E
Ignazio non riusciva a capire. Apparentemente sembrava tutto in ordine. Il
grande specchio intatto. La tavola rotonda e la sua unica sedia rotante,
(quella che permetteva al ministro di cambiare posto in un nanosecondo
simulando così la costituzionalmente garantita pluralità di posizioni), era
tutta intera. E poi lo vide. Il ritratto di Emerlinda Casati Breda, l'amata
madre del ministro, oscenamente deturpato. Un paio di giganteschi baffi
corvini calavano giù per le narici della nobildonna, scempiandone
brutalmente l'austera figura secondo alcuni, ingentilendone per la verità i
tratti secondo altri. Ma al di là del risultato estetico, tutti erano concordi
sul fatto che un importante simbolo del potere era stato orribilmente
vilipeso. “Oggi i ritratti delle madri dei ministri e domani le foto delle loro
celebri amanti forse? Dove si andrà a finire di questo passo?” proclamava
agli astanti un parlamentare di opposizione passato di lì per incassare una
mazzetta. E a quanto si era appreso fino a qual momento, il sordido gesto
era stato compiuto con la matita delle grandi firme utilizzata dal ministro
per sottoscrivere di suo pugno gli atti più importanti “In maniera delebile!”
come amava spesso dire “Che comunque non si sa mai!”. E, cosa ben più
grave, la matita delle grandi firme era sparita.
“Ah venga Poldo. Da questa parte”. Il dottor Lucchetti, direttore della
sicurezza, gli fece cenno di avvicinarsi.
“Mi ascolti bene Poldo. Il ministro è in viaggio. Ha abbandonato il summit
internazionale sulle nuove sinergie tra sogliola e anguilla e sta rientrando.
Ci serve la sua collaborazione. Vada nel suo studio e recuperi la lista dei
sottoposti licenziati nell'ultimo anno e mezzo. Abbiamo fondati motivi per
ritenere che il colpevole possa essere uno di loro. Faccia presto”
Ignazio Poldo varcò la soglia del suo ufficio questa volta con sollievo.
Allontanarsi dalla scena del crimine lo aveva liberato dallo stato d'ansia
che lo aveva colto nel frattempo. Decise di consultare dapprima il registro
del personale che teneva nel primo cassetto della scrivania. Una volta
aperto però lo stupore lo colse in viso. Una confezione di gamberetti
surgelata gli apparve in bella vista tra graffette, pinzatrice e fogli A4. Sul
frontespizio della scatola un biglietto arancione sigillato con la cera lacca.
Ignazio lo aprì un po' titubante.
“Sei stato tu! Ho le prove. Guarda nella vetrinetta alla tua sinistra”.
Il biglietto gli cadde di mano. La fronte di Ignazio prese a sudare
copiosamente. La vetrinetta delle onorificenze luccicava come sempre di
medaglie e pergamene a testimoniare i successi della sua lunga carriera. Ed
eccola lì. La matita delle grandi firme spiccava come un trofeo tra il
premio come funzionario della settimana di Pasqua e la medaglietta della
puntualità. Ignazio venne assalito da un profondo senso di panico. Doveva
far sparire tutto. Non apriva quella vetrinetta da più di un anno e si
precipitò alla ricerca delle chiavi. Dove le aveva messe? Ma certo, nel
terzo cassetto dove teneva... niente. Sparite. Per un attimo pensò di
rompere il vetro e di simulare un furto, ma poi ricordò che la vetrinetta era
dotata di uno speciale vetro antisfondamento. Era stato lui a farlo mettere
per uniformarsi a una direttiva sulla sicurezza. Ancora una volta era stato
ligio al dovere ed ora ne pagava le conseguenze. Sarebbe stato scoperto ed
incolpato di un delitto che non aveva commesso. Questione di poche ore e
qualcuno sarebbe entrato nel suo studio e avrebbe scoperto la matita. Lui
avrebbe negato certo, ma chi gli avrebbe creduto con l'arma del delitto in
esposizione a mo' di cimelio? Decise rassegnato che quelle ultime ore di
libertà le avrebbe passate a modo suo. Sarebbe tornato dalla moglie, a casa
sua e li avrebbe aspettati lì, in veste da camera.
Ortensia ebbe un tale sussulto nel vedere il marito rientrare
inaspettatamente che quasi cadde dalla cyclette. Non era mai accaduto
niente di simile da quando si erano sposati.
“Ignazio, che succede? Ti senti bene?”
“Ma sì Ortensia, ho chiesto solo qualche ora di permesso in vista della
partenza di domani”

“Un permesso? Tu? Ma sei sicuro di stare bene?”
“Sì Ortensia, sto bene!”
“Vado a prenderti dell'acqua fresca e poi chiamiamo un dottore!”
Ortensia si diresse pensierosa e borbottante verso la cucina e Ignazio si
accomodò in poltrona. Si sentiva stranamente calmo. La sua vita era finita,
la carriera spezzata, il marchio dell'infamia lo avrebbe colto di lì a poco
eppure lui non sentiva niente. Era come anestetizzato e aveva solo voglia
di dormire. D'un tratto la sua attenzione venne catturata da un puntino sul
muro. Un piccolo cerchietto nero pece che risaltava sul fucsia della sua
parete. Si alzò dalla poltrona e si avvicinò. Era un foro minuscolo che non
ricordava di aver mai visto prima. Ci poggiò l'occhio sinistro come fosse
uno spioncino e dapprima vide tutto nero, poi del blu, poi udì come
l'infrangersi di onde. Si sentì trascinare dentro il buco come da una
corrente improvvisa, i vestiti zuppi di acqua salata, vorticò per un po' tra le
bolle e infine riemerse dal profondo dell'abisso. E Ignazio, respirando
salsedine, decise che non sarebbe più uscito da lì.

*****
Luca Dettori

Nessun commento:

Posta un commento