La semioscurità della stanza aveva un effetto calmante per i suoi occhi. L’unica parte che riusciva a muovere.
La strada era deserta, il servizio navetta come tutti i giorni faceva lo stesso percorso, accompagnava lo “squadrone della morte” alla base segreta. Il capitano Joshua guardava fuori dal finestrino, la polvere danzava davanti ai suoi occhi, creava forme irreali, non riuscire a interpretarle per lui era stuzzicante, gli piacevano le cose inafferrabili.
I suoi sottoposti ridevano, raccontavano delle loro famiglie, dei loro amori, racconti misti a linguaggio da caserma. Joshua, sembrava appartenere a un altro mondo, non gli interessavano le chiacchiere e neanche parlare, lui faceva soltanto il suo lavoro, il resto non contava.
Arrivati alla base, il capitano si diresse con passo fermo verso il suo ufficio, entrò, chiuse la porta, il silenzio lo avvolse gratificandolo. La stanza somigliava a una cabina di pilotaggio, lui seduto nella sua comoda poltrona, guardava gli schermi accesi dei computer che gli stavano di fronte, intorno a lui tutto era bianco, sterile, niente di personale in quel posto a ricordare la vita pulsante e caotica, che stava fuori da quelle mura.
Aveva passato anni davanti a quegli schermi a decidere della vita degli altri, a vedere in diretta le immagini dei luoghi che sarebbero stati oggetto delle incursioni dei “suoi” predators, a spiare e nel caso uccidere, a seconda degli ordini che riceveva dall’alto. Quel lavoro era stato un punto di arrivo, se lo ripeteva sempre quando pensava alla sua infanzia, a sua madre che lo aveva abbandonato, all’orfanatrofio che lo aveva accolto a sei anni. Era orgoglioso di essere diventato uno dei temuti piloti di drone dell’Air Force degli Stati Uniti.
A volte gli capitava di pensare all’anno prima, si rivedeva felice del suo lavoro, fermamente convinto di essere nel giusto.
Stanco, dopo tutte quelle ore passate davanti ai monitor, con sollievo inserì la chiave nella toppa, ed ecco ad accoglierlo il profumo di casa.
«Amore sono arrivato. Tutto bene oggi?»
Joshua sembrava rinato non appena mise piede in casa, appese con cura la giacca all’appendiabiti e andò a salutare la moglie, la baciò sfiorandole le labbra, i suoi occhi sorridevano dopo tanto grigiore.
«Ann grazie per oggi. Ci vediamo domani.»
«Non mi ringrazi, a me fa piacere passare del tempo con la signora Katrina...» Disse, poi andò via lasciando dietro di sé un odore di niente.
Joshua poggiò sul tavolo il cartone con la sua cena, il cheeseburger era ancora caldo, versò le patatine e l’insalata verde nel piatto di ceramica e poggiò le due bottiglie di birra ghiacciata vicino al boccale di vetro, mise le posate perfettamente dritte, ai lati del piatto, quando decise che era tutto perfetto e in ordine, si sedette a tavola. Aveva fame. Nell’aria il nuovo profumo di Katrina.
«Oggi è stata una giornata di merda. Dai piani alti mi hanno dato le coordinate sbagliate e… Boom! Un villaggio è andato a puttane, ci pensi, la vita a volte è proprio crudele. Ti prego non guardarmi così, non oggi. Lo so, non ho mica dimenticato…» Si sentì un idiota per la battuta fuori luogo, non era il caso di raccontarle certe cose dopo il lutto che Katrina si portava addosso: la morte del fratello a causa di una bomba sganciata da un drone, un errore umano, fu la motivazione. “Ne hanno fatto un eroe e tanti saluti.” Fu il commento di Katrina.
Lo sguardo di Katrina era fermo, immobile, nel suo viso non si muoveva nessun muscolo, lasciò che il marito guardasse la tv mentre addentava il suo cheeseburger con la salsa rossa che gocciolava sul piatto.
Joshua era ipnotizzato dalle immagini del villaggio che era stato distrutto dal suo predator. Il suo interesse era puramente tecnico, non ascoltava le feroci critiche verso chi uccideva civili innocenti che versavano il proprio sangue, senza che il loro assassino potesse neanche sentire il funesto fetore della morte. Vedeva la polvere che giocava nell’aria, e questa volta, i disegni che formava erano opera sua. La gente non poteva capire la differenza tra guidare un drone a distanza e pilotare un vero aereo militare, e questo Joshua lo sapeva, la sua esperienza sul campo gli aveva insegnato che correva il rischio di morire ogni qualvolta si arrischiava in una zona rossa, ma quando sganciava le bombe, non le vedeva nemmeno cadere, niente a che vedere con il pilotare un drone a distanza.
“Quando stai per sganciare una bomba, comodamente seduto, a migliaia di chilometri di distanza dal tuo obiettivo, sei consapevole di ciò che fai, non hai più paura di morire, ma senti l’odore del trapasso altrui appiccicato alla tua coscienza.” Pensava. Un sorriso amaro apparve sul suo viso stanco, aveva sonno, era ora di dormire, l’indomani all’alba lo aspettava un’altra giornata di lavoro. Accarezzò la moglie non senza rimpianti e le luci si spensero.
Si preparò mentalmente ad affrontare un altro turno uguale a tutti gli altri, passato a preparare morte senza odore e bombardamenti senza polvere. Fu una giornata difficile quella per il capitano, i suoi pensieri lo tormentavano, pensava a katrina e gli si aggrappava mentalmente con l’ansia di chi sta per perdere tutto. Erano sposati da cinque anni, di cui quattro vissuti nella più assoluta felicità, il quinto invece, era diventato un inferno, Joshua non sopportava l’insistenza con cui la moglie gli chiedeva di lasciare il suo lavoro, era cambiata dopo quello che era successo al fratello, erano cambiate le sue convinzioni, ma lui non voleva capire. Soltanto alla fine, si rese conto e fu allora che fece una promessa alla moglie, promessa che suonava come una solenne dichiarazione d’amore.
“Se solo potessi tornare indietro…” Mormorò tra sé per la prima volta.
Per mesi aveva lavorato per mantenere fede al suo giuramento, un lungo e meticoloso lavoro per evitare fallimenti. Lui era il migliore nel suo campo, nessuno avrebbe mai messo in discussione le sue decisioni.
All’alba, dopo undici ore di lavoro, il capitano stanco rientrò a casa. Silenzio. L’aria profumava di disinfettante, un odore pesante, che lo aveva accompagnato per mesi. Ormai era fatta. Joshua guardò l’espressione di Ann, il suo viso era un misto di dolore e cordoglio.
«È andata». Disse la donna con la voce rotta dal pianto.
Un nodo alla gola misto a sollievo fu la reazione di Joshua.
« Era solo questione di giorni… In fondo lo sapevamo. No?Grazie Ann per tutto quello che hai fatto… Ora però voglio restare solo con lei, vai a riposarti, penso a tutto io.» La donna andò via avvolta nel suo camice bianco.
Joshua rimase tutto il giorno a vegliare la moglie, non una lacrima a bagnare i suoi occhi castani, ma soltanto occhiaie a fargli da contorno. Ricordò l’evento che aveva costretto la moglie in quel letto, in coma dopo che un pirata della strada l’aveva investita. Nessuna traccia del colpevole. Non si seppe mai niente. Questo pensiero provocò nell’uomo un rimescolio di sentimenti, strani e inattesi. In silenzio spiegò alla moglie che avrebbe messo in atto la promessa. Niente avrebbe potuto fermarlo.
Guardò la foto del loro matrimonio, si rivide con gli occhi sorridenti, i capelli biondi rasati, l’uniforme delle grandi occasioni, Katrina, con il suo abito bianco a fare da contrasto con i capelli corvini, lo guardava felice. Osservandola pensò che fosse un’immagine da: “Finché morte non ci separi”. In fondo, lui non era granché cambiato, ma guardando la moglie, per la prima volta dopo mesi, si rese conto che era diventata l’ombra di quella sposa raggiante.
Alle ventitré Joshua era pronto per il suo turno. La divisa immacolata, stirata alla perfezione, il cappello calcato in testa come se facesse parte del suo corpo.
Salutò per l’ultima volta la moglie e andò incontro al suo destino.
L’uomo entrò nel suo studio e lo osservò attentamente, bianco, impersonale, niente a identificare la vita della persona che ci aveva passato gli ultimi due anni, rifletteva amaro, ma ormai non importava. Accartocciò il foglio delle coordinate, ormai non servivano più, i piani per quella notte erano cambiati. Sentì la poltrona morbida sotto il suo peso, per un attimo si lasciò andare ai ricordi. Rivide il primo incontro con Katrina, il loro primo bacio, la prima volta che fecero l’amore, il giorno del matrimonio, la loro casa, le loro liti sempre più violente e accese a causa del suo lavoro. Per Katrina tutto ciò che aveva a che fare con la guerra, con i droni, doveva appartenere al passato. Nella sua vita non c’era più posto per tutto questo. Il rapporto tra i due era diventato insostenibile. Joshua amava il suo lavoro, non lo avrebbe mai lasciato.
Dopo l’ennesima litigata Katrina piantò il marito e andò via di casa, urlandogli in faccia:
“Ami il tuo lavoro più di me? Bene, allora impara a convivere soltanto con quello!”
Quella frase gli rimase impressa. Non la dimenticò mai.
Lì per lì la lasciò andare, non disse una parola, il rumore della porta che sbatteva gli giunse come uno schiaffo. Rivide il bambino di sei anni, con lo stupore negli occhi mentre la mamma lo lasciava per sempre in quell’orfanatrofio, sentì quel dolore interno, forte, soffocante e ancora il battito nervoso dei tacchi che si allontanavano, lo stesso di tanti anni prima.
La corsa lontano dal suo matrimonio fu breve, durò una mezz’ora circa, mentre la donna si apprestava ad attraversare la strada per raggiungere la stazione, una macchina a folle velocità, la scaraventò contro l’asfalto e proseguì la corsa portandosi dietro la sua colpa. Nessun testimone, niente di niente che potesse portare a un colpevole.
Era giunto il momento di mantenere fede al giuramento fatto alla moglie quando entrò in coma:
«Lascerò questo lavoro e farò in modo che non lo faccia nessun altro. Ti prometto Katrina, che starò sempre con te. Ti seguirò ovunque tu vada. Niente e nessuno ci separeranno.»
Il capitano Joshua inserì le coordinate, era tutto calcolato nei minimi dettagli, nessuno si sarebbe reso conto di niente sino al fatto compiuto.
Schiacciò due soli tasti e aspettò, mentre un ultimo ricordo s’insinuò nella sua mentre a tradimento. Si rivide mentre guidava la sua auto verde, era lucido, come la follia che gli fece premere l’acceleratore mentre Katrina attraversava la strada…
Non poteva permettere di essere abbandonato per la seconda volta, il dolore era impossibile da gestire, non era più un bambino indifeso. Ognuno doveva pagare la sua colpa…
Due boati a risvegliare la notte. Una strage.
Il “nemico” aveva bombardato la base militare e la sede distaccata dei droni. Un superstite. Il capitano Joshua Cox si era salvato. Questa, fu la versione ufficiale che gli alti gradi militari americani dettero al mondo intero. E fu così che iniziò una nuova caccia alle streghe.
Dopo un mese di coma Joshua riaprì gli occhi, a guardarlo sorridente la foto di Katrina posta dinanzi a sé.
Il capitano si era salvato dalla morte e ora era condannato all’immobilità, steso in quel lettino, per tutto il tempo che gli sarebbe rimasto da vivere, a guardare avidamente qualsiasi immagine i suoi occhi gli permettessero di catturare, in quella piccola stanza, ordinata e pulita come piaceva a lui.
Giovanna Manca
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