30.11.11

Seduzioni in rete

Quando Monica vede quel ragazzo, fermo dall’altra parte del marciapiede, guardarsi intorno con l’aria smarrita di chi aspetta qualcuno, il suo cuore fa un balzo.
“Dio, quanto è carino, ti prego, fai che sia lui”. Fa scivolare gli occhiali sul naso e osserva con attenzione il profilo delicato del viso, i capelli castani, lo sguardo deciso e il corpo esile, modellato dalla camicia di un azzurro intenso e dai jeans aderenti; ogni dettaglio sembra corrispondere all’immagine, che si era costruita nella testa. Sente il labbro inferiore farle male, stretto tra i denti per la tensione. La tentazione di scappare è forte, inciampa su se stessa, torna indietro e chiude la porta ai sogni.
Cammina con passi corti, ostenta una calma apparente e cerca di confondersi tra la folla, che a ondate scorre nella via. E’ come una lunga sfilata di maschere senza volto e senza espressione, dietro le quali è scritta la storia di  ognuno, ben celata dal personaggio, che ha scelto di interpretare.
Monica  si sente parte di quella compagnia di teatranti, ha già sperimentato esercizi di autocontrollo del linguaggio del corpo ed evita accuratamente di fa trapelare il suo segreto: nessuno lo deve intuire.
Si ferma davanti alle vetrine e, con simulata curiosità, finge di ammirare oggetti amorfi, statuine inanimate, sculture morte. Ad un tratto una figura goffa e opaca prende forma e compare attraverso la porta a vetri di un negozio. Monica la fissa con sospetto, stenta a riconoscerla, sembra non appartenerle. Solleva la testa e socchiude gli occhi, un senso di nausea l’assale, ha voglia di vomitare.
Nei suoi pensieri vive ancora una ragazza luminosa, che solo negli ultimi tempi ha subito dei cambiamenti, difficili da accettare. Il modello velina, inseguito con diete e ore massacranti di attività sportiva, ha ceduto il posto a un comportamento bulimico, ormai fuori controllo. Non serve nascondersi dietro le lenti e cercare di mascherare una corazza degna di un pachiderma dentro jeans informi e un top ampio a fiorellini provenzali. Ma questa volta non vuole arrendersi, ha la sensazione che non sia tardi per correre ai ripari e cerca di valutare ogni aspetto del problema.
Certo non è bella, ma è simpatica, intelligente: “l’importante è l’essere, non l’apparire.”
Una solenne cretinata, ecco cosa le sembra questa teoria. Accidenti, perchè non si può essere belli dentro e fuori?
Si volta, abbandona i ragionamenti filosofici e, guidata da una forza magnetica, percorre a ritroso la strada che la conduce da lui.
Arrivata in fondo alla via lo cerca con lo sguardo nell’angolo anonimo della città, dove lo ha lasciato poco prima. Non lo vede. All’improvviso tutto ondeggia intorno a lei. Le insegne fluorescenti dei cartelli pubblicitari così come il giallo strisciante delle scritte digitali sul pannello della fermata dell’autobus si muovono con intermittenza ossessiva. Il respiro del traffico si fa affannoso, le voci dei passanti risuonano confuse, ogni rumore, ogni odore si dilata.
La delusione è pungente e gli occhi frugano, indagano oltre la barriera di un fuoristrada nero scarafaggio, accostato al ciglio della strada, che nasconde parzialmente la sagoma poderosa di un uomo girato di spalle con la testa grigia e una signora elegante con al seguito un cane bassotto.
Ed ecco, tra esseri insignificanti, che attraversano il  suo campo visivo, riemerge il ragazzo dal viso delicato e i capelli castani.
E’ la sullo sfondo, dove, come in un fermo immagine, ha conservato l’atteggiamento di chi è in attesa di una persona, che non arriva.
E’ lui? E se non fosse lui?
Monica porta una mano alla bocca, quasi a trattenere una risata, ah,ah…sì, una risata amara.
Che cavolo ci fa lì, tormentata e insicura, a chiedersi come abbia fatto a cacciarsi in una situazione così assurda.  Se la vedesse la sua mamma!
Ricorda di essere stata felice quando era viva la mamma, ma adesso lei non può più proteggerla. La sua scomparsa le ha cambiato l’esistenza, incrinato gli equilibri affettivi. Era stata costretta ad interrompere gli studi di psicologia e a trasferirsi in una piccola mansarda, nello stesso stabile in cui, al piano terra, gestiva il  negozio, che era stato di sua madre. Il padre, invece, era rimasto a vivere nella casa e  a lavorare nell’azienda di famiglia,
Lentamente, ma inesorabilmente le loro vite si erano incanalate lungo percorsi paralleli.
Il dialogo e la comunicazione si erano impoveriti, ridotti al solo scambio d’informazioni sulle rendite dell’attività commerciale, di cui il padre aveva ereditato una quota d’eredità.
Vivevano uno stato di solitudine, chiusi ognuno nella propria torre d’avorio, da cui non riuscivano a  uscire per colmare il vuoto e riempire i silenzi, che scavavano fra loro fossati immensi.
Monica sentiva il bisogno di allargare le relazioni affettive e, passando attraverso linguaggi alternativi e strumenti  non convenzionali, riuscì a costruire nuove forme di amicizia.
Tutto era iniziato come un gioco, un intermezzo utile a vivacizzare le giornate invernali in cui il passaggio dei clienti nel negozio diventava lento e monotono.
Era sempre stata ragionevolmente prudente e si sorprese per prima, quando, il giorno precedente, si ritrovò a confidare all’unica amica della vita il  suo bizzarro interesse.
       << Ciao Monica, che fai? >>
       << Ehi, Marcella, vieni dentro non stare sulla porta.>>
       << Dai, non voglio disturbarti.>>
       << Ma che disturbare, come puoi notare non c’è ressa lì all’ingresso.>>
       << Stai lavorando al pc, sei su excel?>>
       <<No, no, guarda, mi annoiavo e navigando qua e là su internet ho trovato un forum molto intrigante. Si parla di poesia.>>
       <<Uffa, chepalle le poesie, ma c’è qualcuno che ne scrive ancora? Io sono rimasta a Baudelaire. Mi piacevano gli scrittori maledetti nel periodo in cui ero preda delle paturnie esistenziali.>>
     <<Sai ho trovato un modo come un altro per divagare un po’ e allontanarmi, almeno virtualmente, dalla noia del lavoro.>>
     <<Okay, dai ci vediamo più tardi dopo la chiusura, così mi racconti tutto. Bye, bye.>>
Marcella uscì oscillando sugli stivali dal tacco dieci, portandosi dietro un profumo esotico dalla fragranza dolciastra.
    <<Posso aiutarla? Ha visto qualcosa che le piace?>>
Si era alzata lentamente dalla sedia con movimenti goffi e pesanti.
“La gente continua a strasbattersene dell’orario di chiusura” pensava Monica.
Non c’era nulla d’imbronciato nella sua calma e l’irritazione restava mascherata nelle pieghe delle labbra sottili, increspate da un tiepido sorriso. Con un gesto aveva tirato su il ciuffo di  capelli scuri, che le ricadevano dritti sul collo, così fini da sembrare radi. Nessuna mano esperta era riuscita a dare un’anima a quella capigliatura, che a niente serviva se non a conferirle un aspetto ancor più insignificante. “Questa non ha nessun’intenzione di comprare, non solo vasi e piatti finemente decorati a mano, ma neppure quel gattino della collezione dei thun, che cerca di intenerirla con gli occhi verdi e le vibrisse tese.”
La signora passò in rassegna ogni oggetto.
       <<Grazie, volevo solo dare un’occhiata, arrivederci.>>
       << Arrivederci >>  rispose Monica a denti stretti.
Quando vide ricomparire Marcella sulla porta, spense il portatile, abbassò le luci e tirò giù la serranda del negozio. Le due amiche si diressero verso la passeggiata sul lungomare. Il vento di libeccio soffiava forte, sollevando onde bianche, che lambivano la spiaggia, e il profumo delle alghe si mescolava agli odori penetranti del traffico cittadino.
        <<Forse è meglio rifugiarsi nel salottino del nostro pub preferito.>> sibilò Marcella, fermando con la mano la frangia bionda, che come un’ala sembrava volesse prendere quota.
      <<Forza andiamo. Sarà meglio per me, non sopporto che il vento scompigli i miei morbidi riccioli>> rispose Monica con ironia, infilando le mani nelle tasche e stringendosi a Marcella.
La loro risata si spargeva nell’aria e vicine, vicine aumentarono il passo per arrivare al centro storico, dove nella via stretta, gremita di turisti, si fecero largo tra un gruppetto di ragazzi, che  tentarono di bloccarle con atteggiamenti da galletti di periferia.
<<Hai visto quello, che sguardo di fuoco ti ha lanciato? Ti guarda con insistenza.>> disse Marcella, premendo sul braccio dell’amica. <<Guarda me? Ma allora è sicuramente orbo.>> Rise.

     <<… Allora, mi ascolti o no? Ti dicevo di quel giorno in cui ho iniziato a chattare con un ragazzo conosciuto nel forum. Io gli ho scritto: Mi piace la poesia e ammiro quelli capaci di comporre versi, sono persone di gran sensibilità e ricchezza interiore.>> e  lui rispose: <<Si, sì ma queste qualità da sole non sono sufficienti. Bisogna conoscere la metrica. Ci vuole respiro, suono, ritmo, silenzio.>>
Monica fece una pausa e aspettò che il cameriere si allontanasse, prima di riprendere a raccontare.
      <<Sai Marcella, non riesco a spiegarmi come sia successo, ma i nostri appuntamenti sulla chat sono diventati via, via più frequenti e le conversazioni scivolarono presto su un terreno intimo e confidenziale. Per la prima volta nella mia vita, ho avuto la percezione di essere capita,  di essere accettata con tutte le mie fragilità, i difetti, i limiti, che mi porto dietro. Mi fidavo di lui, potevo abbandonarmi e parlargli di me, dei sentimenti, delle insicurezze, delle difficoltà di costruire un rapporto stabile con un uomo. D’essere incapace di innamorarmi dopo l’ultima delusione subita.
Le sue parole mi trasmettevano una serenità a lungo cercata, una fiducia nel futuro, ormai persa.
Mi ha fatto sentire al centro dei suoi pensieri, al centro dell’Universo.
Ha preso ad inviarmi poesie dolcissime, nelle quali cantava l’amore per me, che rappresentavo,  lo ripeteva all’infinito, l’unica vera fonte d’ispirazione.
Un giorno scrisse: <<Facciamo un gioco. Io ti descrivo come t’immagino e tu mi dici se e quanto mi avvicino alla tua realtà>>.
Così mi ha presentato un quadretto dove mi dipingeva con qualità fisiche completamente opposte a quelle reali. Occhi grandi e profondi, chioma bionda e folta, gambe lunghe e slanciate. Una gazzella insomma. E sai cosa ho fatto? Gli ho lasciato intatto il bozzetto, evitando accuratamente di smontarlo. Poi è stato il mio turno. Gli ho restituito il favore, convinta di non sbagliare neppure di un dettaglio.
Alto, magro, lineamenti sottili, capelli lunghi, occhi chiari,  portamento elegante e gentile. Non poteva essere diversamente, l’avatar sul suo blog alimentava fantasie di grande  bellezza.>>
Marcella seguiva divertita il racconto di quell’esperienza, arricciando il naso con una mossa tipica,  per cercare di trattenere una risatina ironica. In fondo pensava fosse tutto uno scherzo, così a sua volta, si mise a giocare. <<Senti Monica, se questo ragazzo è così gracilino, perché si nutre solo di poesia e bei paesaggi e vive in un mondo aulico, bisogna offrirgli un’occasione in cui possa apprezzare i piaceri terreni e al tempo stesso restituirgli vigore con una bella botta di calorie.
Al tuo posto organizzerei una cenetta romantica in un localino di fronte al mare. Una figata!
Prova ad immaginare che bel siparietto: la luce delle candele avvolge con la sua aura misteriosa due figure sedute nella terrazza all’aperto. I loro sguardi, persi l’uno in quello dell’altra, comunicano l’attesa di un segreto tutto da svelare, mentre le dita di lui si posano lievi sulla sua mano. I sogni più nascosti volano come rondini nel cielo per approdare oltre l’orizzonte, illuminato da sfumature di colore rosse, gialle, indaco di un tramonto infuocato.
Gli occhi di lei brillano ancor prima delle labbra e la sua femminilità è pronta ad accogliere un nuovo fiore. Uno spicchio di luna argentata, complice e amica di un’avventura irripetibile, sorgerà nel cielo e crescerà con il desiderio di scoprirsi e conoscersi.  
E sul tavolo? Ostriche, pappardelle all’aragosta e un dessert di tirami su. Due, tre calici di champagne faranno il resto.>>
Monica aveva ascoltato in silenzio.
       <<Lo vedrò domani.>> disse d’un fiato.
Marcella la guardò incredula
       <<Ma tu sei fuori di testa. Non fare sciocchezze. Non puoi sapere chi si nasconde dietro l’altra parte del monitor.>>
       <<Lo incontrerò domani.>> ripeté Monica come in trance, fissando, senza vederla, la latina di Coca Cola.
Il ragazzo dei sogni adesso è davanti ai suoi occhi, materializzato in carne ed ossa, deve  solo decidere se avvicinarlo e toccare con mano una realtà fino ad allora conosciuta attraverso filtri e schermi fittizi, oppure ignorarlo per sempre.
Le basta attraversare la strada...  Sente  il cuore pulsare, come se volesse saltarle fuori dal petto e, afferrando il cellulare dalla tasca dei jeans, si accorge che le mani tremano. Il numero è registrato, ora può usarlo. Cerca il nick “micio, micio.” Lo trova e fa invio. Solleva lo sguardo, ormai convinta di riuscire a padroneggiare le emozioni. Sullo sfondo l’inquadratura  apre ad una visione nuova. La dinamica è cambiata. Il fuoristrada è scomparso e così pure la donna con il cagnolino.
Il ragazzo è svanito, dissolto nel nulla, come un miraggio creato dalla sua fantasia. Solo quell’uomo con i capelli grigi occupa tutta la scena. Può sentire chiaramente lo squillo del telefono, che si interrompe appena lui lo avvicina all’orecchio.
       << Si, pronto? Sono micio, micio. Sei tu musa ispiratrice?>>
Monica sente un brivido freddo attraversarla tutta. Con un gesto convulso chiude immediatamente la telefonata e, come una timida viscida biscia scivola in mezzo alla folla, lasciandosi là, alle spalle, suo padre.

Luisella Sassu

1 commento:

  1. Bello, poetico, con colpo di scena finale. Complimeti collega scrittrice!

    Laura Niolu

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