27.8.12

CAULUNE

A Tanca Ruja, quando il tramonto iniziava, il grande albero di fico che copriva metà  casa s’ incendiava;
  le foglie da verdi diventavano arancioni poi rosse, sino ad essere nere: segno che il sole si era appena addormentato. Dalle pareti affumicate dell’ antico ovile regnava un grande silenzio che riempiva ogni cosa.  La mulattiera che conduceva  alla casa indicava che ci  si trovava all’ ingresso della Tanca di Baddore e Maria Sisini. Tanca Ruja, cent’ anni di storia e Baddore di anni settantaquattro col tempo avevano imparato ad amarsi: che una casa potesse sentire amore per il suo nuovo padrone, lui, ne era più che convinto.
Ci sono case che  pare abbiano un’ anima e che fanno sentire a disagio il nuovo inquilino,  stanze piene di mobili ma fredde e austere con oggetti che non hanno voglia di essere utilizzati da nuove mani., ma questa aveva  accolto Baddore e Maria oramai da quarant’ anni ed era testimone di un buon matrimonio,  passioni e di duro lavoro.  Da anni, alla sera lui amava sedersi fuori al fresco gustando un buon rosso e  ammirava il grande albero, quasi si aspettasse un cenno, ma in quel monologo silenzioso nella sua  mente rimbombavano i  soliti versi:
“ Chena de a tie/ su mundu meu est boidu/ su coro meu mudu/ chena de a tie/ su chelu est nieddu/ sas istellas chena lughe/mai chena de a tie/puitte ses palte de custu coro….
Senza di te/ il mondo mio è vuoto/ il mio cuore silenzioso/ senza di te/ il cielo è nero/ le stelle senza luce/mai senza te/ perché sei parte di questo cuore…..
Ah, se solo avesse potuto riabbracciare anche solo per un istante Nennedda, dopo tutti quegli anni, dopo tutto quel dolore.










2
Quel giorno il lavoro nei campi era stato faticoso, il sole sembrava un enorme uovo fritto che galleggiava in un cielo giallo olio, Baddore  preoccupato lo aveva osservato,  ahi, su fogu . Per falciare il grano si era fatto aiutare da Mimmieddu, un grande lavoratore che da anni, per tre giorni a settimana lo raggiungeva in campagna.  Fedele  e taciturno bracciante, Baddore lo amava davvero come quel figlio mai avuto. A sera si salutarono all’ inizio della mulattiera., Mimmieddu con una sigaretta fra i denti e l’ aria stanca aveva guardato negli occhi su mere vedendolo per un attimo diverso, lontano ed impenetrabile, lo conosceva bene lui quel vecchio forte ma non gli disse nulla a parte – a nos bidere!
 Appena arrivò a Tanca Ruja lasciò fuori dalla porta gli stivali sporchi ed entrò in cucina, si lavò le mani e  guardò la piccola riproduzione del quadro “ la Grande Famiglia” Di Magritte, appesa al muro. Ingiallita dal fumo del fuoco, se ne stava appesa li, con quell’ enorme colomba  rosolata che pareva si fosse staccata per un attimo dalla grigia tela e se ne fosse andata in giro per un lontano cielo celeste e dopo, stanca si era riattaccata al dipinto, un immagine irreale ed affascinante per Baddore.  La colomba senza un nido lo affascinava in modo quasi incomprensibile, e ogni volta che si trovava in casa dava sempre un’ occhiata al quadro, quasi non potesse farne a meno, Maria aveva più volte cercato di buttarla ma lui la voleva li quella colomba, appesa , svolazzante e celeste. Almeno portava un pò di colore in quell’ ambiente composto di poche cose  pratiche e moltissime cianfrusaglie, tutte di Maria. Per lui quelle cianfrusaglie rappresentavano solo un motivo in più per la polvere di annidarsi, per lei un passatempo dato che non riusciva più ad aiutarlo nei campi, e poi-  infischiatene zucca, in casa ci sono io non tu!- Gli ripeteva con grande ironia… ah lui aveva sempre amato quella sua caratteristica, in modo assolutamente inconsapevole la moglie lo aveva aiutato a vedere la vita con meno serietà, aveva sempre utilizzato quella dote per cercare di fuggire dai ricordi, anche da quelli dove la polvere si poggia, inesorabilmente…..
Ricordi solo a tratti polverosi e sempre più spesso forti e vividi, come un buon rosso che ha atteso anni prima di essere gustato da una bocca sapiente e attenta, quella di Baddore Sisini, di anni settantaquattro, di ricordi un’ infinità.






3
*Che cosa serbo in questi momenti di tristezza? Ahi, chi taglia i miei boschi dorati e fioriti? Che leggo nello  specchio d ‘ argento intenerito che l’ aurora mi porge sopra l’ acqua del fiume?  Con questi versi imparati oramai a memoria Baddore fece ritorno a casa, stanco e un pò affamato. La cena si consumò  silenziosa,  ad osservarli dal di fuori  pareva fossero  uniti solo dal cibo e separati dalla stanchezza, uniti dalle lontane sacre Promesse e divisi da ricordi troppo diversi . Col passare degli anni il viso di Maria era rimasto bello, quelle rughe le davano un aspetto intelligente, caratteristica che era ben lontana da lei ma comoda per Baddore:  non si era mai accorta dei frequenti cambiamenti di umore del marito, per lei, quell’uomo forte e fiero stava sempre bene…. Baddore aveva imparato a gestire i ricordi troppo dolorosi, li accartocciava e li buttava in un angolo del cuore, cosi niente e nessuno poteva scorgere quella pallina arrotolata e a volte, illusoriamente nemmeno lui. Ma quella sera un insormontabile dolore stava prendendo il comando nella sua mente e nel suo stanco cuore. Può un ricordo riaffiorare  in modo cosi prepotente e vivo tanto da schiacciare l’ anima? Può un violino emettere suoni strozzati e cambiare l’ armonia di una musica cosi da far sentire tutto il peso della vita? Perché la sua esistenza a tredici anni era dovuta cambiare ? può un segreto rimanere tale o deve necessariamente essere condiviso per poter perdere tutto il suo peso?  Esiste qualcuno che può comprendere tutto il dolore provato o  è giusto tenere tutto per sé perché gli atri non possono capirlo? Meglio rivelarsi veramente solo a se stessi, e non  coinvolgere  mai gli altri…. –ah Maria, Maria non ti sei mai accorta di nulla - riflettè . Necessariamente doveva evadere e lasciarsi andare, trovare una via di fuga., rilassare il corpo e la mente, quasi per caso fissò la tela e si trovò improvvisamente accanto all’ enorme colomba  celeste.  Inizialmente smarrito cercò di comprendere dove fosse finito ma non ebbe paura quando la colomba lo guardò e lo invitò a volare con lei. Assieme iniziarono a planare lenti e lui si sentiva a momenti un pò strano, a momenti ridicolo.  Lo portò su per il cielo prima grigio poi celeste, andarono al mare, iniziò a cantare a bassa voce e  respirare  a pieni polmoni,-  ajò  a vedere a Nennedda,…e cosi si rividero, e in quel momento cosi felice ed inaspettato si dimenticarono di essere dentro ad un quadro.
Nennedda era sempre bellissima anche se era  un po’ invecchiata,   e quando si riabbracciarono Baddore stentava a credere che erano li assieme,  pianse e volò. La voce di Maria lo riportò alla realtà, di soprassalto tornò coi piedi per terra e  frastornato ritornò nella loro cucina, provò angoscia, e dallo spavento senti  l’ urina calda scivolargli nei pantaloni, sino a terra.
Quei voli divennero sempre più frequenti, la sua colomba lo aspettava sempre ferma dentro il quadro e lui non vedeva l’ora di volare  con lei. Di giorno, quando era nel campo con Mimmieddu pensava al momento in cui sarebbe rientrato a casa per poi volare. Maria provò a buttare la tela ma la reazione di Baddore fu cosi violenta che non lo fece mai più, cosi lei si rifugiò nella sue cianfrusaglie e lui nella tela di quel quadro dove aveva rivisto l’ unica persona che in tutti quegli anni gli era veramente mancata.
  *da Il nido di Federico Garcia Lorca.

4
Adele era stata una donna  bellissima, i suoi capelli neri e gli occhi verdi  da felino la facevano la ragazza più bella dei dintorni:  il suo corpo slanciato ed elegante era invidiato dalle donne  e desiderato da tutti gli uomini, persino dai paesi vicini i ragazzi andavano per ammirarla, la sua sensualità stregava tutti, e le donne in calore facevano le orazioni contro di lei affinchè qualcuno venisse da lontano e se la portasse via.  Un giorno in pieno agosto,  un uomo venuto da lontano col suo cavallo la vide per la prima volta  nella campagna a raccogliere frutta con le gambe nude, affaticata ma bellissima, doveva averla a tutti i costi quella meravigliosa visione. Cosi venne a sapere che Adele, figlia di Costantino ed Eleonora Piras, ultima di cinque figli,  abitava nella casa appena fuori dal paese di Golcoi,  andò senza troppi indugi  a chiedere la sua mano.  Andrea le avrebbe offerto un buon futuro, proprietario di una casa e di un terreno, aveva dei cavalli e maiali e Adele sarebbe stata felice. E su un cavallo i due dopo poco tempo lasciarono il paese, la sposa con al dito la fede nuziale, le baggiane, le zitelle riunite a festeggiare la fine delle loro astinenze.  Ma Adele non era minimamente consapevole di cosa l’ aspettava, quel matrimonio, combinato di tutta fretta per soddisfare  le diverse esigenze di Andrea, si era rivelato dopo poco tempo un vero inferno: il passionale Andrea  aveva  un vizio, quello del bere. Un giorno Adele si trovava in casa e  vide il marito nella campagna ubriaco che litigava con la propria ombra, il suo bellissimo Andrea era alla fine un perdente violento e dentro di se incominciava lentamente  ad odiarlo. Come tutte le passioni, quell’ odio si impossessò lentamente di lei ma non riusciva a stargli lontano, a volte aveva pensato di scappare in groppa ad un cavallo, quello stesso che l’ aveva vista uscire dal suo paese, sposa fresca e ubriaca d’ amore. Quasi fosse stata vittima di uno strano fato, non riusciva ad allontanarsi da lui, e cosi, rassegnata continuò a vivere la sua vita li, accanto a lui, consapevole del fatto che era letteralmente finita in un vicolo cieco. Accolse la sua gravidanza come se fosse   l’ unico evento degno di essere vissuto e reclamato, come se quel bambino avesse rappresentato  per lei un aiuto, una scappatoia dalla realtà, e guardando suo marito ubriaco si toccò la pancia, ebbe un sussulto e pianse.
Nei mesi a seguire  si rifugiò dalla presenza del marito, ciò che Andrea le aveva rubato lo ritrovò in quei momenti in cui chiacchierava con la sua pancia oramai prossima al parto.  Quella nascita aveva per un attimo fatto calmare i nervi di Andrea, cussu pitzinneddu , quel bambino, lo aveva fatto sentire un uomo e per qualche tempo  lasciò la bottiglia promettendo alla moglie che non avrebbe più bevuto, promessa che non riuscì a mantenere a lungo, e spinto da forte gelosia verso il bambino iniziò ad essere violento con lei. Le percosse e   le sbronze erano oramai all’ ordine del giorno e lei faceva di tutto per proteggere il bambino,  cercava in tutti i modi di crescere il piccolo con tutto quell’ amore che poteva dargli, tanto che il loro legame  divenne fortissimo, niente e nessuno li avrebbe separati, nemmeno l’ inferno. E di inferno ne vissero tanto da sentire l’ anima ardere. In quegli anni l’ odio per Andrea era diventato pari alla paura che entrambi provavano, e senza mai dirselo apertamente avrebbero fatto di tutto per sbarazzarsi di lui, ma nessuno dei due osò mai confessarlo, sino a quel giorno di pieno inverno, quando fuori una dolcissima neve cadeva per la campagna e tutto cambiò per sempre.


Quella mattina d’ inverno Adele aveva acceso presto il fuoco, la casa era fredda e fuori la neve aveva addolcito tutta la campagna : uno spettacolo meraviglioso. Quella neve avrebbe si creato qualche difficoltà nell’ accudire il bestiame ma era di una bellezza sconvolgente, tanto da farla emozionare. Andrea era ancora  a letto, la sera precedente aveva bevuto sino  a crollare addormentato, anche per quella notte lei e il figlio dormirono abbracciati in cucina, col calore che ancora emanava il fuoco in sa ziminea. Ecco, erano quelli i momenti in cui loro due non provavano paura, si sentivano vicini ed invincibili. Gli anni erano passati e il suo matrimonio era in pezzi, oramai l’ unico motivo che le impediva di lasciarlo era semplicemente il fatto che non sapeva dove andare, se fosse stata sola magari sarebbe andata anche in continente  a fare sa servidora in qualche famiglia benestante, che lì danno da mangiare e da dormire ma con un figlio oramai adolescente e con Andrea si era rassegnata a restare lì, infelice e stanca. Sul tardi Andrea  ancora barcollante andò in cucina e appena la vide le disse che aveva fame e voleva mangiare ma la tavola non era ancora apparecchiata perché Adele era stata fuori a giocare con figlio sulla neve. Nella mente di Andrea si scatenò l’ inferno: iniziò a picchiarla  con più violenza rispetto agli altri giorni, i fumi dell’ alcool ancora annebbiavano la sua mente ed impadronito da una violenza inaudita la buttò per terra e con calci e pugni iniziò a picchiarla, lei aveva imparato a stare zitta,  ma quel giorno reagì e riuscì a sfuggirgli, correndo cadde sul ghiaccio, lui  dietro cadde con lei e la colluttazione fu sempre più  violenta; improvvisamente  si senti un urlo fortissimo, Andrea si girò e vide il figlio con il mano un pezzo di legna, tutta la rabbia implosa per tanti anni venne fuori e lo colpi  cosi violentemente sulla testa che restò intontito, il sangue gli fuoriusciva dalla bocca e  colorò la neve bianca. Tutta l’ ira accumulata in quegli anni era esplosa violentemente in un solo gesto secco e deciso,  Adele per un attimo non riuscì a muoversi poi lenta andò in direzione del marito lo scosse  e si accorse che era morto. Un grande terrore avvolse la campagna, Adele guardò il figlio inizialmente incredula poi un grande sollievo si impadronì di lei, stentava  a credere che il loro incubo fosse terminato, Andrea  non li avrebbe mai più tormentati, mai più. I minuti passavano ma sembravano interminabili,  decisero di trascinare il cadavere sulla neve sino ad  arrivare nell’ ovile dove gettarono il  corpo in pasto ai maiali. Restarono li a guardare quel pasto furioso, abbracciati lei e il suo Baddore  spaventati  per troppi anni da quell’ uomo che li aveva maltrattati, ora potevano iniziare daccapo, anche se col tempo, entrambi si resero conto che dimenticarsi un fatto del genere fu impossibile. Baddore si macchiò di un delitto ma l’ unica che conosceva la verità era Adele,  la sua Nennedda. Mai confessò il delitto del figlio, lo avrebbe sempre difeso ad ogni costo.
Ogni giorno, a Tanca Ruja,  quando albeggia e tutto sembra essere puro e leggero, l’ enorme albero di fico che copre metà casa, da nero diviene rosso, rosso come il sangue, rosso come un buon vino.
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Natalina Foddai




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