4.12.11

I pesci non chiudono gli occhi - Ultimo libro di Erri de Luca

                         
Libri  che ti convincano ad una rilettura sono sempre più rari; più numerosi sono infatti sugli scaffali delle librerie i libri dalla lettura facile, che esauriscono la loro funzione di intrattenimento dopo una rapida lettura globale. Sempre più difficile quindi incontrare libri che conducano ad una riflessione, ad una crescita del lettore.

In quest’ultimo periodo ho avuto la ventura di imbattermi in due testi narrativi molto diversi e lontani nel tempo di scrittura. Il primo è Quell’antico amore di Carlo Laurenzi, uscito nel ’72, al quale il tempo trascorso dalla prima lettura niente ha sottratto all’eleganza della lingua, all’abilità nell’articolare la storia nelle diverse parti, alla profondità della descrizione dei protagonisti.
Il secondo testo è di Erri De Luca, I pesci non chiudono gli occhi, un lungo racconto autobiografico di un periodo così breve e così complesso come“ quell’età sospesa tra l’infanzia e l’adolescenza che sono i dieci anni”, mentre il tempo narrativo di fondo è quello racchiuso nelle vacanze su un’isola.
Il primo riscontro è soggettivo perché quell’Erri bambino condivide, per motivi storici, con me lettrice alcune esperienze. È la narrazione autobiografica che genera empatia perché racconta anche episodi della nostra vita: la neve del ’56, i libri bastioni per la difesa e la conoscenza, i banchi col calamaio dall’inchiostro denso e le penne dal pennino traditore. E non solo, in quel continuo andare dal passato dei dieci anni all’allora futuro dei venti, si proiettano le esperienze dell’infanzia nelle scelte del futuro, come la scoperta della giustizia nei rapporti infantili che quasi sempre si accompagnava nei giovanili all’aggettivo sociale.
Vengono in mente, per personali suggestioni letterarie, per l’ambientazione spaziale  e temporale, come per esperienze simili ma contrastanti negli esiti, L’ isola di Arturo e Agostino.  Come Arturo ed Agostino, Erri si introduce ai rapporti con i coetanei e gli adulti. Il piccolo Erri è coinvolto nella violenza dei coetanei come il piccolo Agostino di Moravia, ma con una strana ricerca della violenza ritenuta necessaria per crescere, per uscire dal corpo ancora fermo in cui si sentiva imprigionato, perché rimasto infantile, indietro. A differenza di Agostino, lui sì vittima di ragazzi prepotenti, Erri sembra avere la consapevolezza della necessità di un rito di passaggio, di iniziazione e così decide tempi e modi dell’aggressione.
Assenti i conflitti e gli abbandoni affettivi che segnano le vite di Arturo ed Agostino, uno dei temi più sentiti ruota intorno ai genitori. A dieci anni Erri riteneva di aver imparato a conoscere gli adulti:
“ Attraverso i libri di mio padre imparavo a conoscere gli adulti dall’interno. Non erano i giganti che volevano credersi. Erano bambini deformati da un corpo ingombrante. Erano vulnerabili, criminali, patetici e prevedibili. Potevo anticipare le loro mosse, a dieci anni ero un meccanico dell’apparecchio adulto.”. Questo li rende degni della sua indulgenza. E dispiega questa sua saggia conoscenza bambina quando deve fronteggiare, nonostante il suo desiderio di non voler avere un peso, le due scelte opposte del padre, che propone un trasferimento negli Stati Uniti, e della madre, che intende restare a Napoli.
“ Là c’era la velocità, là sarei cresciuto per forza, perché là tutto diventava grande, spazioso, scarpe, gelati, macchine e tutti erano alti, soldati, scrittori, operai … Poteva essere un buon posto per me …”,sono i pensieri di Erri, ma “ Laggiù, sì o no, era un affare da sbrigarsi tra loro.”. E anche se in seguito sembrerà incoraggiare la decisione della madre, avrà il timore di perdere il padre, senza il quale “… sarei venuto storto, avrei cercato di appoggiarmi ad un muro come un rampicante che altrimenti striscia.”. La conoscenza, la comprensione indulgente, l’affetto dei dieci anni si proietta sulla vicinanza che continua dopo la  scomparsa dei genitori: “ Le vite dei miei due stanno nella prigione degli assenti e non mi passa giorno senza che aspetti fuori.”.
 Agostino e Arturo sono fratelli maggiori di Erri e nuotano l’uno nel realismo ruvido di Moravia, l’altro nel realismo magico della Morante. Realismo poetico può forse definirsi il tessuto narrativo di De Luca, perché espressione di un vissuto tradotto in frasi brevi, lascito della madre e delle altre figure femminili napoletane della sua famiglia: “Le loro voci hanno formato le mie frasi scritte che non sono più lunghe del fiato che ci vuole a pronunciarle”. Frasi brevi, ma non per  questo destinate ad una lettura rapida e superficiale. La brevità è misura, sincerità senza abbandoni, sentimento senza affettazione. L’apparente semplicità nasce dalla decantazione delle esperienze, perciò non è banale. E la poesia affiora e traduce un’esperienza, un sentimento, una riflessione in molteplicità di significati, come sempre fa la poesia.

Rita Di Mattia 



2 commenti:

  1. Che bella recensione! Brava Rita mi fai venire voglia di comprarlo.
    Luisella Sa

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  2. Un respiro ampio, profondo. Uno sguardo appassionato dentro sé stessi. Un'esperienza di lettore che vive dentro la storia, che coniuga le proprie esperienze con l'esperienza del mondo. Che scorge le luci che la letteratura (e l'arte)di volta in volta accende, che divengono fari a indicare il percorso di sconosciute rotte.

    Gianfranco Chironi





    Gianfranco Chironi

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