23.12.11

L'enigma dell'ora




L'enigma dell'ora di Giorgio De Chirico

(1011)
Deve avermi immaginata così infinite volte. Con lo stesso abito bianco che indossavo quel giorno, trattenendo il cappello che voleva rubarmi il vento, mentre ammiravo lo stile architettonico dei portici di Piazza Santissima Annunziata.


Lui studiava la costruzione con altri occhi, ammirava i particolari con attenzione, esplorandone ogni angolo, ogni elemento e i lampi di luce che colpivano il portico, in quella mattina di maggio che mi trovai a passeggiare senza meta per Firenze.
Pensai a uno studente.
Stava li, col pennello nella mano destra a mezz’aria che si asciugava al sole e nell’altra mano la tavolozza dei colori. Rosso.Il rosso dominava.
Mi avvicinai a spiare il dipinto.

A prima vista non mi piacque. Era troppo schematico, pareva un progetto tecnico se non fosse stato per le linee irregolari delle colonne e l’imprecisa curva degli archi.
Avvicinò il pennello alla tela e rifinì con un tratto sottile l’orologio posizionato al centro della struttura.
Non c’era nessun orologio nella realtà e, ad osservare meglio, notai che neanche quella specie di vasca che lui aveva disegnato davanti all’arco centrale esisteva. Mah!
Non mi accorsi di aver espresso il dubbio a voce alta. Lui smise di dipingere e si voltò. Io smisi di respirare. Lui non parlò. Alzo il sopracciglio destro e interrogò la mia esclamazione.
Ecco, mi innamorai di quel gesto.
Di quel sopraciglio che si protendeva verso l’altro nella domanda sottintesa, del piccolo neo sulla sua fronte ampia, appena sopra l’occhio destro.
Continuava a guardarmi e non sapevo che dire. Non una parola venne in mio aiuto mentre i pensieri si agitavano senza intenzione alcuna di volarmi via dalla mente.
Lui chiese - come ti chiami? Io dissi - Anna - Hai detto qualcosa Anna?
L’orologio dissi - Si? Chiese lui- L’orologio cosa? Non c’è - dissi - non esiste l’orologio - Lui sorrise -
Ecco, forse del suo sorriso mi innamorai - Dei suoi denti incorniciati da labbra morbide. Desiderai baciarlo, pensai di farlo e scappare via.
Si che c’è - disse -
Cosa ? - risposi tornando alla realtà - L’orologio - rispose - Il tempo non è mai assente dallo spazio, forse siamo noi che non ci siamo, forse questo è un sogno e noi abitiamo un‘altra dimensione. Ma l’orologio c’è. Ti insegno a vederlo. Vuoi? -

Avvertivo il suo sguardo come un velo che mi ricopriva. Pensai che dovevo andare, che lo distraevo dal suo lavoro. Ma non riuscivo a muovermi.
Ho quasi finito - disse - Un caffè ? - Annuii - Si voltò a terminare il suo orologio e restai a guardare la sua nuca e le sue spalle curve dentro un maglione bianco troppo pesante per la stagione.
Ripiegò il cavalletto e sistemò i suoi arnesi. Ci avviammo verso un bar, come vecchi amici.
Ci avviammo verso il bar e io non conoscevo ancora il suo nome.
Lui intuì il mio pensiero - Giorgio - disse - e io distratta chiesi - Giorgio chi? - Io percisò - Giorgio sono io - Io sono Anna dissi - L’hai già detto - disse sorridendo con le mie labbra  e qualcosa dentro di me si sciolse per sempre.
Sedemmo a un tavolino sulla piazza e ordinammo caffè.
Lui fumava piccole sigarette sottili con grande piacere mentre mi guardava.
Parlammo di Firenze e delle sue piazze, della campagna e dei turisti, troppi, del mare,lontano, del vino, buono e del sole e del vento, del mio cappello ridicolo e del tempo, che intanto scappava via.
Poi ci venne fame, Giorgio lasciò i suoi arnesi in custodia al proprietario del bar e ci avviammo in un ristorante. Non ordinò nulla prima che lo facessi io. - Cosa desideri - mi chiese?
Avrei mangiato cioccolato con lui, dalla stessa coppa, con lo stesso cucchiaio.
Ma nel menu non c’era quello che volevo.
Quello che volevo mi stava seduto di fronte e arrossivo mentre pensavo a questo e il mio sangue diventò acqua e quando Giorgio sfiorò la mia mano l’acqua divenne vino. Rosso. Defluì dalle mie vene. Mi svegliò la voce del cameriere…

Mangiammo carne quasi cruda, bevemmo vino del Chianti e mi girò la testa. Ricordai appena per un istante di esser fuggita da un nido. Ero a Firenze da quattro giorni per un breve periodo di vacanza. Sarei partita l’indomani. Sarei tornata al nido, da Pier, nella nostra casa, pronta da anni che presto avrebbe accolto il mio abito da sposa e i miei fiori appassiti al sole, come il nostro decennale rapporto. Mi stavo ammalando d’amore e per effetto vedevo oltre il muro dell’abitudine. Chi aveva ripulito lo specchio della mia vita? Questo giovane sconosciuto pittore? Forse mi ero solo smarrita un attimo.
Per questo Giorgio prese la mia mano e mi trascino fuori?

Camminammo per lungarno, fino alla fine della strada, fino alla fine del pomeriggio, andammo incontro alla sera e al futuro.

Approdammo nella campagna, naufraghi di un viaggio senza meta. Mi baciò all’improvviso mentre il sole abbandonava quel giorno e il nodo che mi teneva legata al nido si sciolse.

Ci baciammo lungo la strada di ritorno mentre lo guidavo verso la mia casa.
Ci baciammo nel portone, perché non potevamo smettere.
Lui trovò il confine del mio vestito e del mio desiderio sulle scale, io tolsi le scarpe fuori dalla porta.
Ci baciammo mentre cercavo affannosamente le chiavi.
Ci baciammo cercandoci con le mani finchè non ci trovammo nudi di mondo e vestiti di luce, rossa di sole che ci spiava dalla finestra aperta, spinti dal vento che gonfiava le tende e il mio cuore.

Mi svegliò il freddo e mi ferì la sua assenza. Dov’era la sua bocca? Dove aveva portato i miei baci? La mia pelle aveva sete e piansi amore fino ad affogare nel suo profumo.


Lasciò una lettera dentro il mio cappello bianco.


Di te conosco solo il nome che userò come un faro nella notte.
Non dire mai nient’altro che il tuo nome.
Io parto Anna. Un impegno. Perdona la mia fuga.
Fra un mese da oggi.
sai dove..
Libera la tua vita e fammi spazio.
Com’ sei bella stamattina Anna, disarmata del tuo fascino, con gli occhi chiusi.
Non volevo, non potevo svegliarti.
Voglio vivere il tuo sonno.
Vieni da me Anna.
Giorgio.





Lasciai Firenze e il mio coraggio sotto lenzuola orfane di noi.
Sposai Pier e senza appartenergli mai sono arrivata sin qui, da dove sono partita troppi anni fà.
E piango ora, nello scoprire che lui non ha dimenticato, che ha conservato quel giorno in una tela, dove all‘ombra dei portici, egli appare, come in attesa.


Ora il battitore d'asta si appresta a battere l’opera, concludendo la presentazione.
‘L’enigma dell’ora’:
‘Il titolo del quadro nasce probabilmente dalla volontà di De Chirico di rappresentare un orologio fermo. Appare tuttavia logico che, su un quadro, un orologio non potrà mai camminare. Tuttavia, è proprio la fermezza e l’immobilità di tutta l’immagine a suggerirci che anche l’orologio è fermo, anche se non lo sapremo mai. O forse esso è l’unica cosa che continua a muoversi, segnando un tempo senza senso, perché non produce più modificazioni nel corso delle cose.
La base d’asta è di…… ‘

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